Nella bozza del decreto rilancio trovano spazio contributi a fondo perduto per aziende, inclusi titolari di partita IVA, con fatturato non superiore a 5 milioni di euro. Una platea ampia quindi. L’ultima bozza probabilmente sarà quella definitiva. Non è sfuggito che dal contributo a fondo perduto sarebbero escluse le partite IVA che beneficiano del bonus 600 euro. Viene da chiedersi, vista l’incomulabilità, se sia più conveniente accedere ai contributi a fondo perduto oppure all’indennità Inps e, nel primo caso, che cosa può fare chi ha già usufruito del bonus 600 euro a marzo.

Prima di inviare domanda all’Agenzia delle Entrate bisognerà rinunciare al bonus 600 euro? La previsione del comando “rinuncia” apparso sul sito Inps farebbe pensare a questa strada anche se non manca qualche perplessità sui motivi dell’esclusione.

Come funzionano i contributi a fondo perduto per le imprese: requisiti e cause di esclusione

Il contributo, come sopra anticipato, riguarderebbe le imprese il cui fatturato non superi i 5 milioni di euro: il prestito, funzionale al rilancio dell’attività post coronavirus, non prevede obbligo di restituzione né tanto meno interessi. Il decreto fissa altri parametri: nel mese di aprile fatturato e corrispettivi devono far registrare un calo di due terzi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (requisito dal quale sono esenti coloro che hanno avviato l’attività da gennaio 2019).

L’importo spettante a titolo di contributo a fondo perduto viene calcolato applicando una “percentuale alla differenza tra l’ammontare del fatturato di aprile 2020 e quello di aprile 2019”. Tale percentuale varia in base ai ricavi e compensi annui (relativi al periodo d’imposta 2019):

  • 25% per soggetti con ricavi o compensi che non superano i 100.000€;
  • 20% per soggetti con ricavi o compensi tra 100.000€ e 400.000€;
  • 15% per soggetti con ricavi o compensi tra 400.000€ e 5.000.000€.