Andare in pensione con la quota 103 significa poter uscire già a 62 anni con 41 anni di contributi versati. A prima vista una occasione allettante e forse usare questo aggettivo è un eufemismo. Chi è che non trova conveniente lasciare il lavoro così presto rispetto ai requisiti ordinari? Sono ben 5 gli anni di anticipo e la pensione prima, quelli offerti dalla misura. Ma non è tutto oro ciò che luccica, recita un proverbio. A maggior ragione se si pensa a chi ha 62 anni. Ed è vero che si trova a 5 anni dall’età pensionabile ordinaria, ma se ha già 41 anni di contributi, si trova a meno di due anni dai 42,10 della quiescenza anticipata ordinaria.
E se l’interessato fosse una donna, la distanza dalla pensione anticipata ordinaria scenderebbe a soli 10 mesi. Anticipo ok, ma solo se non ci siano controindicazioni. E pare che anche la quota 103 qualche controindicazione la presenta.
“Salve, gradirei un vostro consiglio su quello che devo fare adesso che stanno per creare una misura che mi consente di andare in pensione prima di quello che mi aspettavo. Infatti secondo me ho i requisiti adatti alla quota 41. A gennaio compio 62 anni di età ed ho 41 anni di contributi già oggi. Completati credo a ottobre 2022. Farò quota 103 a gennaio quindi. Ma sento dire che è una pensione penalizzante, nel senso che tagliano l’assegno per diversi anni come una specie di corrispettivo da pagare per gli anni di pensione in anticipo offerti. Premesso che non sono in accordo con una cosa del genere, mi chiedo se conviene che aspetto di arrivare a 42 anni e 1 mesi di contributi per la mia pensione anticipata ordinaria.”

Per i vicini alla pensione anticipata la quota 103 può essere inutile per diverse ragioni

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Il quesito della nostra lettrice è talmente particolareggiato che ci mette di fronte ad un caso di lavoratore (lavoratrice visto che è una donna), la cui pensione con la quota 103 servirà a poco e forse sarà controproducente a tal punto da spingerla ad evitare.
Infatti si tratta di una lavoratrice che ha già una carriera piuttosto lunga a tal punto che nel 2023, con o senza novità dal governo, dovrebbe poter andare in pensione. Lo farà senza dubbio con la pensione anticipata ordinaria, che si centra con 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. In quel caso non ci sarebbero penalizzazioni o tagli di assegno e nemmeno vincoli particolari se si escludono i 35 anni di contribuzione effettiva da completare senza i periodi di malattia o disoccupazione.

Finestre mobili anche per la quota 103

La quota 103 per questo genere di lavoratori anticipa la pensione solo di qualche mese. Per le donne solo di 10 mesi. Infatti anche la finestra di tre mesi tra la data di maturazione del diritto alla pensione e quella di decorrenza del trattamento è la medesima tra la quota 103 e la pensione anticipata ordinaria. La nostra lettrice che già da ottobre ha completato i 41 anni di contribuzione versata dovrebbe poter andare in pensione nel 2023, a novembre dopo aver maturato i 41 anni e 10 mesi ad agosto. Ci andasse con la quota 103,potrebbe uscire ad aprile 2024, decorsi i tre mesi di finestra dopo il compleanno. Una pensione 7 mesi prima, ma con delle penalizzazioni che, come vedremo, la mettono nelle condizioni di dover preferire il restare al lavoro qualche altro mese.

Una pensione non più alta di un determinato importo, ma fino a 67 anni di età e non fino a 42,10 di contributi

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C’è una limitazione che rischia seriamente di diventare un autentico disincentivo alla misura di pensionamento a 62 anni di età con 41 anni di contributi. Ma forse il governo ha deciso di mettere questo paletto proprio per limitare la già scarna platea dei potenziali beneficiari.
Va ricordato infatti che ogni misura di pensionamento anticipato di un governo deve fare i conti con la sostenibilità e con i conti pubblici. Significa che se da un lato si mandano in pensione prima i cittadini, dall’altro occorre limitare l’esborso per l’INPS. E limitazioni, vincoli e tagli, sia lineari che con calcolo contributivo delle prestazioni, sono le soluzioni sempre più gettonate da parte dei governi quando varano pseudo riforme delle pensioni. La pensione a 62 anni di età con 41 anni di contribuzione, per chi riuscirà a rientrare, ha una limitazione di importo che la rende particolarmente dannosa a fronte di un anticipo che per qualcuno, come la nostra lettrice, è di pochi mesi.

La pensione non superiore a 5 volte il trattamento minimo

Il beneficiario della quota 103 non potrà prendere un assegno più alto di 5 volte il trattamento minimo INPS. Ed essendo oggi questo trattamento pari a 525 euro, significa non poter prendere una pensione più alta di 2.625 euro lordi al mese. Ma dal momento che salirà senza dubbio il trattamento minimo 2023, assestandosi, stime alla mano a 580 euro circa, la pensione non potrà superare i 2.900 euro lordi. Al netto significa non poter prendere un assegno più alto di 1900/2000 euro netti al mese.

Un netto taglio di assegno

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A prescindere dai contributi versati e dal valore di questi versamenti, il taglio sarebbe pesante, forse più per la durata che per gli importi. In effetti il taglio non sarà fino al raggiungimento della contribuzione utile alla pensione anticipata ordinaria, ma sarà fino al raggiungimento invece dell’età pensionabile per la pensione di vecchiaia, cioè fino ai 67 anni. In termini pratici, la nostra lettrice, e come lei tanti, dovranno fare i conti, se hanno diritto ad una pensione più alta di 2.000 euro al mese, con dei tagli per tutti gli anni di anticipo presi prima dei 67 anni (5 anni per chi esce a 62 anni). Ed a fronte di qualche mese di lavoro in più, non è azzardato consigliare di restare al lavoro, senza subire tagli.