Ci sono categorie di contribuenti che considerare svantaggiate di fronte alla pensione, non è esercizio azzardato. Le donne sono senza dubbio una di queste categorie. Non diciamo nulla di sbagliato se sosteniamo che le donne siano penalizzate rispetto agli uomini da ogni punto di vista. Durante il lavoro, sono i soggetti che più difficilmente trovano lavoro per via di alcuni luoghi comuni che molti datori di lavoro hanno.

Invece quando è il momento di andare in pensione, le donne si trovano spesso prive dei requisiti minimi per andare in quiescenza.

Perché nel tempo hanno sacrificato il lavoro, rinunciando alla carriera per la cura della casa, della famiglia e dei figli. Spesso per via dei redditi del marito queste donne non hanno diritto nemmeno all’assegno sociale. E spesso si trovano ad avere dei contributi versati che di fatto non verranno mai utilizzati per la loro pensione. Contributi e versamenti persi per sempre.

“Salve, sono Miriam e sono una donna di 71 anni. Sono andata al patronato per verificare il mio diritto alla pensione di vecchiaia. Non prendo niente, nemmeno l’assegno sociale perché mio marito ha una pensione superiore a 1.500 euro al mese. Ma ho 14 anni di contributi versati e sapevo che a 71 anni potevo andare in pensione anche con solo 5 anni di versamenti. Invece al patronato mi dicono che questa regola vale solo per chi ha cominciato a versare dopo il 1995. Io invece ho iniziato a versare nel 1992. In sostanza, a me la pensione non toccherà mai? I miei 14 anni di contributi sono soldi gettati al vento? Vi prego, datemi una mano.”

Alle donne niente pensione, ecco perché a molte non bastano 71 anni di età e restano a vita senza trattamento

Tutto quanto detto in premessa, si rispecchia esattamente nella situazione della nostra povera lettrice. Che effettivamente si trova con un buon numero di contributi, ma insufficiente per una pensione.

La pensione a 71 anni è una opzione valida per andare in quiescenza. Perché consente di accedere alla pensione anche con solo 5 anni di versamenti. Ma come anche il patronato della signora ha confermato, è una opzione destinata solo ai contributivi puri.

In pratica possono andare in pensione a 71 anni di età i contribuenti il cui primo accredito contributivo a qualsiasi titolo versato, è successivo al 31 dicembre 1995. Chi ha iniziato a versare prima non può andare in pensione a 71 anni e non potrà farlo mai se non ha raggiunto la carriera minima dei 20 anni. La pensione di vecchiaia infatti si completa a partire dai 67 anni, ma solo a fronte di una contribuzione minima pari a 20 anni.

Cosa sono i contributi silenti

Per la nostra lettrice e per chi si trova come lei, parlare di contributi silenti è inevitabile. I contributi sono versamenti che i lavoratori effettuano durante la loro carriera lavorativa. Si tratta di soldi che finiscono nelle casse dell’INPS e che servono per pagare le pensioni a chi in quiescenza è già entrato.

I soldi versati come contribuzione finiscono nelle casse dell’INPS per poi trasformarsi in pensione. Ma sono moltissimi i contributi previdenziali che i contribuenti versano senza che alla fine l’INPS li utilizzi per una pensione. In questo caso si chiamano contributi silenti. A volte inutilizzati per scelta del pensionato. Magari perché sono dannosi per la pensione (basti pensare ad alcuni contributi figurativi).

Oppure perché vanno riscattati pagando un onere che il pensionato non può o non vuole sostenere. Ma ancora più spesso perché sono versamenti che non permettono al contribuente di raggiungere una pensione propria. Ci sono donne per esempio che hanno versato pochi anni di contributi e a 67 anni prendono l’assegno sociale perché hanno redditi bassi.

In quel caso la loro contribuzione non viene usata.

E ci sono casi, come la nostra lettrice insegna, che per via di redditi superiori alle soglie, non consentono di prendere niente, nemmeno l’assegno sociale.