Prima non c’era nulla. Perciò quando, nel 2003, a Lorenza Pigozzi viene affidato il compito di costruire la comunicazione di Mediobanca, le dev’essere parsa una “missione impossibile”. Ma lei, che nella banca d’affari fondata da Enrico Cuccia è entrata nel 2001 dopo aver maturato esperienze in ambito finanziario in Lazard e Banca Imi, l’ha considerata una nuova sfida. Da vincere.

Nuova del tutto anche per lei, perché di comunicazione in precedenza non si era mai occupata. E a rendere più delicato e quindi anche più difficile il “salto professionale” è stata la tempistica.

L’incarico di responsabile dell’ufficio stampa le viene assegnato in un momento molto particolare per l’istituto: stavano maturando cambiamenti molto importanti nell’azionariato e nella governance, passaggi che hanno comportato la conclusione di un’epoca e l’avvio di un nuovo corso.

E per una banca che fino a quel momento non aveva previsto una figura di comunicazione e dialogo con il mercato e gli stakeholder, ciò avrebbe potuto determinare distorsioni di immagine e reputazione, anche perché fino ad allora entrambi i fattori erano stati in un certo senso riservati a clienti, azionisti, soggetti partecipati, cioè a un club certamente ristretto rispetto al pubblico di riferimento di una banca retail.

E, di più, Mediobanca anche sulla stampa veniva raffigurata come un “santuario”, un presidio massonico, un crocevia di “patti d’acciaio” che le conferivano un potere dai confini indefinibili e perciò da guardare con timore o diffidenza per il grande pubblico.

Lo sviluppo di un nuovo stile di comunicazione

Lorenza Pigozzi, accolta su un giornale come la nuova “custode dei silenzi stampa” piuttosto che la possibile interprete e portavoce di una stagione diversa per la banca d’affari, ha dovuto partire da zero: costruire un “album dei ricordi”, una storia dell’istituto e del suo “stile” che potesse consentire di riposizionare l’immagine conservando però elementi di coerenza irrinunciabili perché componenti il dna della banca, fatto di talenti, tecnica e anche diversità.

Su queste basi, o per meglio dire fondamenta, è stata con il tempo allestita una nuova narrazione. Che ha dato conto, conservando però sempre lo “stile” originario, della maturazione della nuova Mediobanca. Così nel 2004 il riposizionamento corre sulle parole del nuovo capo azienda Alberto Nagel che, in una “inedita” presentazione agli analisti, annuncia che l’istituto sarà “più banca e meno partecipazioni, meno Italia e più estero”.
Lorenza Pigozzi ha comunicato progressivamente il passaggio da queste parole ai fatti, che si è tradotto da un lato nella vendita di partecipazioni e nello scioglimento dei patti di sindacato, dall’altro nell’apertura di uffici in alti Paesi. Non solo, dal 2003 a oggi ha seguito la comunicazione di tutte le operazioni realizzate (dal settore m&a a quello dei finanziamenti) in Italia e all’estero, e i passaggi che hanno cambiato il volto del gruppo, fra i quali cinque piani industriali e tre cambi di governance.

Nel 2008 la costituzione di Chebanca! ha rappresentato un altro “salto” nel riposizionamento di business e di conseguenza anche di immagine del gruppo. Il nuovo istituto retail, digitale, “giallo”, ha comportato l’adeguamento del “dialogo” con clienti e mercato, per certi versi un passaggio da una comunicazione analogica a una comunicazione digitale, familiare al nuovo pubblico di clienti. Di qui la necessaria distinzione fra il messaggio commerciale e quello corporate, con la conservazione però degli elementi che devono caratterizzare quest’ultimo, a cominciare dallo “stile” Mediobanca.

Con la diversificazione del core business, per Pigozzi arriva l’estensione del perimetro professionale e anche di incarico aziendale: inizialmente responsabile dell’ufficio stampa nel 2013 assume la Direzione comunicazione di gruppo, con la concentrazione di diverse aree: rapporti con i media delle varie divisioni e società del gruppo, marketing, pianificazione media, advertising, social media, corporate identity, eventi istituzionali, comunicazione Csr, knowledge management, research & analysis.

L’attività di comunicazione gestita da Lorenza Pigozzi si è dunque ampliata su tutta la direttrice: dalle relazioni esterne alla comunicazione interna, dai progetti di storytelling del gruppo, alle attività di brand reputation in ambito corporate, retail e consumer.

Nel frattempo, in virtù di una accresciuta visibilità sulle attività del gruppo e delle competenze maturate, Lorenza entra nel consiglio di Chebanca! e vi resta per sei anni. E tutt’ora è componente il board di Mis, Mediobanca innovation services. In più, in seguito all’esperienza maturata nel mondo dell’advertising, partecipa dal 2015 al direttivo di Upa in qualità di consigliere (Utenti pubblicità associati). E anche con l’intento di “restituire” qualcosa dell’esperienza maturata in università e sul lavoro, é componente il Comitato consultivo per i corsi executive in comunicazione alla Luiss business, dove è anche adjunct professor, e partecipa al Comitato scientifico del corso di laurea magistrale in strategic communication dell’Università Iulm di Milano.

Dal 2016 poi, è lei a stimolare un ulteriore passaggio che un tempo sarebbe stato difficilmente immaginabile per una banca d’affari dove la comunicazione era vista come un “peccato” (non veniale, peraltro) e l’attività era a “perimetro definito”, cioè nel solco del core business, Mediobanca si apre a iniziative sociali: diventa partner del Comitato italiano paralimpico per sostenere e diffondere i valori dello sport come vettore di inclusione e integrazione sociale, partnership valorizzata con l’ideazione e creazione del progetto Csr # Oltre. Lorenza si è molto spesa in queste iniziative, sia per attitudine caratteriale sia perché consapevole di quanto arricchisca, oltre alle persone coinvolte, l’asset reputazionale dell’istituto che le promuove.

La vita privata di Lorenza Pigozzi

A questo punto ci si potrebbe fare una domanda sul “personaggio” Pigozzi. In tutto questo tempo Lorenza è riuscita ad affermare una identità pubblica fatta di competenza (quindi affidabilità) e reputazione, relazioni e confidenzialità, non senza qualche “puntiglio ruvido” che in fondo si adatta bene al luogo dove opera.

Ma come ê riuscita a coltivare il suo personale asset più importante, cioè la vita privata? Interrogativo che nasce anche dal contrasto apparente fra un’attività professionale nella quale si è impegnata ed esposta guadagnandosi una discreta visibilità e presenza, e la riservatezza su famiglia e passioni personali che qualcuno definisce…in “perfetto stile Mediobanca”.

Ebbene, se da un lato si può trovare un terreno comune pubblico-privato, l’entusiasmo nelle attività connesse al volontariato e alla inclusività, del fare il bene per il bene, dall’altro è indubbia la volontà e capacità (di genere? forse un po’) di separare la professione da famiglia e figli (due).

I weekend in campagna, dove si alternano giri in bicicletta e cura dell’orto. E poi lo yoga. Lo ammette, forse anche per sottolineare che la disciplina lascia anche lo spazio al desiderio di relax: sul tappetino, in quella fase finale dedicata alla meditazione, talvolta si addormenta.