I titoli derivati sono strumenti finanziari che derivano il loro valore da altri beni, che possono essere attività finanziarie o materie prime/beni reali. Si tratta di una scommessa che due parti fanno su un determinato valore di una merce o di un titolo, evidentemente ciascuna da un punto di vista diverso (una scommette al rialzo, un’altra al ribasso). Malgrado la logica di questi strumenti sia sempre la stessa, sono diverse le forme che possono assumere a livello contrattuale, così come diverse appaiono le finalità.

 

Cosa sono i derivati: dall’uso all’abuso

Tipicamente, si tratta di contratti con cui ci si assicura da un preciso rischio. Ad esempio, se ho un credito in valuta straniera (dollari), mi assicuro dal rischio di deprezzamento del dollaro, stabilendo con un’altra controparte sul mercato un tasso di cambio a cui regolare il contratto, avendo così eliminato o attenuato la portata delle variazioni possibili.

Spesso, la finalità di un contratto derivato è di natura speculativa. In sostanza, si scommette sulla variazione del prezzo di un certo bene o titolo, alla ricerca di un profitto che si realizza se il valore della merce o attività sottostante va nella direzione sperata.

 

I contratti derivati sono di tipo diverso

Sono diverse le tipologie contrattuali: futures, swaps, options, forward, solo per limitarci alle macro-categorie. Gli options o opzioni, ad esempio, danno diritto a una delle parti di acquistare o vendere un titolo o merce a un determinato prezzo (strike price) e a una data pre-stabilita. Nei futures, invece, l’acquisto o la vendita pattuita è obbligatoria a una certa data e prezzo prestabiliti.

Una forma molto diffusa di derivato è l’Interest Rate Swap (IRS). Ci sono sempre due parti: una ha, poniamo, un’esposizione debitoria a tasso variabile e teme l’aumento dei tassi. L’altra è indebitata a tasso fisso e teme che i tassi si abbassino.

I due, con attività sottostanti di pari valore, concordano un tasso di riferimento a una certa data, nella quale regoleranno i flussi. In questi casi, il derivato funge da perfetta copertura, anche se potrebbe avere al contempo natura speculativa.

 

Crisi Monte Paschi: e il derivato divenne sinonimo di speculazione 

L’attacco di stampa e politici ai contratti derivati origina dal timore dell’effetto leva di tali esposizioni. Con un margine contenuto, infatti, ci si può esporre a un rischio anche molto alto. Si calcola che in Italia le attività sottostanti garantite da contratti derivati ammontino a 10 mila miliardi di euro, pari a oltre sei volte il pil, più dei 9 mila miliardi circa di ricchezza netta degli italiani, mentre il valore di mercato (mark-to-market) dei derivati detenuti da famiglie, imprese e investitori istituzionali italiani ammontano a circa 60 miliardi di euro, quasi il 4% del pil. Nel mondo, i derivati sono calcolati in almeno 450 miliardi di euro, circa dieci volte il pil dell’intero pianeta.

Visti così, i derivati farebbero anche paura, tanto che la politica ha spesso la tentazione di ridurne il campo di applicazione e di contenerne l’ammontare sui mercati. Tuttavia, va chiarito come i derivati abbiano per loro natura una tendenza moltiplicativa, che ridimensiona la portata di tali rischi.

 

Effetto moltiplicazione: perchè i derivati sono diventati una bomba

Infatti, su una stessa merce o titolo finanziario sono possibili più coperture. Ad esempio, se un’impresa indebitata a tasso variabile per l’acquisto di un macchinario si assicura stipulando con una banca un IRS, abbiamo già il primo contratto derivato in forma di swap. Ma a sua volta la banca potrebbe tutelarsi con una terza parte, stipulando un altro contratto IRS. E questa terza parte potrebbe trovare sul mercato una quarta per tutelarsi con un ulteriore IRS.

Alla fine, sulla stessa attività (il mutuo per l’acquisto di un macchinario), abbiamo costruito tre contratti derivati. Questo spiega perché l’ammontare dei valori delle attività garantite dai derivati sia sempre così alto. In realtà, più contratti gravano sulla stessa merce o attività finanziaria. Mediamente, all’estero il rapporto è di 7 a 1, nel senso che il valore dei derivati è superiore a sette volte quello delle attività garantite o su cui si scommette.

 

Derivati Comune di Milano: una sentenza storica

C’è, però, un caso in cui effettivamente questi strumenti non andrebbero affatto utilizzati, ossia negli enti pubblici. E’ di poche settimane fa la storica sentenza del Tribunale di Milano, che ha condannato diverse banche italiane e straniere a risarcire Palazzo Marino per alcuni contratti derivati stipulati nel 2005. Si legge nella sentenza che i contratti non sarebbero stati chiari, mentre si rileva da più parti come questi strumenti così complessi siano più pane per i denti di gente esperta di finanza, che difficilmente può trovarsi a capo di qualche ufficio pubblico, specie se di enti locali. Anche perché vale la pena ribadire che i derivati sono sempre una scommessa, anche nel caso di pura assicurazione da un rischio. Ma con i soldi dei contribuenti è davvero poco giustificabile un tale azzardo.

Diverso è stato il caso di MpS, travolta negli ultimi giorni dagli scandali “Santorini” e “Alexandria”, ossia da operazioni “strutturate” su titoli di stato e altro. Anche in questo caso, il male non è stato l’avere contratto strumenti derivati, quanto non averne (come si evincerebbe dalle inchieste giudiziarie) registrato a bilancio le perdite.

Ricordiamo, infine, che dal prossimo 1 luglio, gli scambi di derivati in Italia saranno tassati con un’imposta fissa (“Tobin Tax”), variabile al crescere del valore sottostante dei contratti e al grado presunto di rischio (Tobin Tax, sale a 200 euro il limite sui prodotti derivati).