Negli Stati Uniti dilaga il fenomeno dei whistleblower, come effetto collaterale dello smart working. A parlarne è un interessante approfondimento, che riporta le quasi settemila segnalazioni ricevute (e remunerate) dalla Sec nell’anno fiscale conclusosi che si è chiuso lo scorso 30 settembre (fonte Bloomberg). Per chi non lo sapesse, la Sec è l’autorità di vigilanza del mercato statunitense, mentre sotto il termine whistleblower rientrano tutte le persone che si distinguono per la loro attività di informatori, oppure – se preferite – delatori. Dipende come sempre dai punti di vista.

Lo smart working e i suoi effetti collaterali

La pandemia di coronavirus ha portato in trionfo lo smart working, la modalità di lavoro agile che ha consentito al settore economico di non crollare sotto i colpi inferti da una delle più gravi emergenze sanitarie che la storia ricordi. In tanti hanno elogiato il lavoro agile da casa, descrivendo ogni giorno quali fossero i benefici: dall’impatto positivo sull’inquinamento, dato dal mancato utilizzo di auto o mezzi pubblici, all’opportunità di stare con la propria famiglia. Come tutte le cose però, anche il telelavoro presenta alcuni aspetti che forse prima nessuno aveva mai preso in considerazione. Chiedete agli Stati Uniti, ad esempio.

Whistleblower, un’attività redditizia

I dati riportati per la prima volta da Bloomberg parlano chiaro. Da quando il coronavirus si è abbattuto con violenza sugli Stati Uniti, la Sec ha versato a titolo di ricompensa qualcosa come 330 milioni di dollari, di cui 114 milioni in un singolo pagamento. Per darvi un’idea di cosa possa significare, basti pensare che dal 2010 ad oggi (incluso dunque l’ultimo anno fiscale che ha fatto registrare un vero e proprio boom di segnalazioni) la Sec ha sborsato 737 milioni: di fatto, quasi la metà soltanto negli ultimi dodici mesi.

Insomma, lo smart working è convenuto a tutti, anche agli “spioni”.

Vedi anche: Smart working, quando è possibile cambiare Paese facendo lo stesso lavoro

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