Inizia una settimana cruciale per le banche centrali. Martedì e mercoledì si terrà il primo board dell’anno della Federal Reserve, che quasi certamente alzerà i tassi d’interesse di un altro 0,25% al 4,75%. Il giorno seguente sarà la volta della Banca Centrale Europea (BCE). Nel caso di Francoforte, la stretta è prevista dello 0,50% al 3%. Dentro il board, però, tra “falchi” e “colombe” volano gli stracci sulle misure da adottare per le riunioni successive. La scorsa settimana sono scesi in campo entrambi gli italiani presenti nel Consiglio.

Il governatore Ignazio Visco ha invitato l’istituto a seguire una comunicazione meno confusa, perché ritiene che quella attuale risulti “dura” da digerire per i mercati. Il consigliere esecutivo Fabio Panetta crede che dopo il board di questa settimana non debba esserci alcuna soluzione preconfezionata. In parole povere, i rialzi dei tassi d’interesse dopo febbraio non dovranno essere certi, bensì dipendenti dall’evoluzione dei dati macro.

Secondo gli analisti e lo stesso mercato, i tassi d’interesse saliranno per altre due volte dello 0,50%, portandosi al 3,50%. Se nel frattempo l’inflazione nell’Eurozona continuasse a scendere – e ci sono tutti i segnali in tal senso, vedasi il crollo del prezzo del gas – la BCE arresterebbe la stretta. Ma il vero campo di battaglia tra Nord e Sud Europa nel Consiglio si sta spostando sul bilancio dell’istituto. Va da sé che nessuno immagina credibilmente che i tassi d’interesse salgano fino al 4% o oltre. La mediazione verte semmai su uno 0,25% in più o in meno. Bazzecole!

Non solo tassi d’interesse, occhi su bilancio BCE

Tuttavia, la politica monetaria non si esaurisce con la fissazione diretta del costo del denaro. I “falchi” hanno puntato da mesi gli occhi sul bilancio. A gennaio, valeva ancora 8.000 miliardi di euro. Esso è composto perlopiù dagli oltre 5.000 miliardi di bond acquistati sin dal 2015 con il “quantitative easing” e tra marzo 2020 e marzo 2022 con il PEPP.

A dicembre, la BCE annunciò che da questo mese di marzo i reinvestimenti saranno ridotti di 15 miliardi al mese. Se l’entità del cosiddetto quantitative tightening (QT) restasse invariata fino a dicembre, a fine anno avremmo un portafoglio dimagrito di 150 miliardi. Una variazione marginale per accontentare i fautori della stretta.

Ed ecco che vengono in soccorso i prestiti erogati alle banche con le aste T-Ltro. In scadenza quest’anno ve ne sono 812 miliardi di euro, a cui si aggiungono 506 miliardi nel 2024 e per i quali sarà possibile effettuare il rimborso anticipato. Limitandoci all’ordinario, tra QT e T-Ltro in scadenza il bilancio della BCE a fine anno scenderebbe a circa 7.000 miliardi. Se, poi, la BCE riuscisse ad ottenere dalle banche anche la restituzione anticipata dei prestiti in scadenza l’anno prossimo, scenderebbe ulteriormente a 6.500 miliardi.

Liquidità in eccesso resta alta

Attualmente, le banche dispongono di liquidità in eccesso rispetto alle riserve loro richieste dalla BCE per 4.500 miliardi. Ancora troppa e tale resterebbe anche a dicembre. Questo dato limita l’efficacia della politica monetaria. Poiché le banche posseggono liquidità in abbondanza, non hanno bisogno di richiederla tra di loro, né di rivolgersi alla clientela. I tassi d’interesse sul mercato stentano a salire e l’inflazione rischia di restare elevata a lungo. In verità, la stragrande maggioranza di questo eccesso di liquidità si ha nel Nord Europa. Ed è anche per questo che i “falchi” tedeschi e olandesi, in primis, pretendono soluzioni più drastiche. A rischio instabilità dei prezzi vi sono proprio le loro economie.

D’altra parte, la BCE continua a possedere tanti titoli di stato di alta qualità come i Bund in qualità di collaterale di garanzia per i prestiti concessi alle banche. Ciò riduce la quantità disponibile sui mercati e tiene relativamente bassi i loro rendimenti, gonfiando gli spread.

La restituzione dei prestiti T-Ltro servirebbe anche a far funzionare meglio gli scambi sui mercati sovrani e a ridurre la frammentazione monetaria nell’area. Paradossale che appaia, farebbe bene proprio ai titoli di stato del Sud Europa, che le “colombe” vorrebbero difendere contenendo il rialzo dei tassi d’interesse.

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