Con le misure approvate dal decreto Lavoro del 1 maggio, si allontana la riforma pensioni. Almeno quella che tutti i lavoratori si aspettano con l’arrivo di Quota 41 o con la proroga di Quota 103. Il governo Meloni, come si capisce da quanto fatto finora, intende sostenere maggiormente i redditi piuttosto che le rendite.

Come noto, in Italia, c’è un problema di cattiva distribuzione delle risorse finanziarie. Risultato di una cattiva e sballata politica economica che da decenni ha preservato l’assistenzialismo a scapito della produttività.

Col risultato che, oggi, abbiamo salari più bassi d’Europa e pensioni più alte della Germania.

Da Quota 103 al decreto Lavoro, quali prospettive per le pensioni

Da quel che si può notare finora, il governo ha cercato con piccoli interventi, quasi passati inosservati, di destinare meno soldi alle rendite e più quattrini a chi lavora. La pensione anticipata con Quota 103 per quest’anno, ad esempio, penalizza chi ha diritto a trattamenti elevati e premia, al contempo, chi non la utilizza e si ferma al lavoro (bonus Maroni).

Lo stesso dicasi per le rivalutazioni delle pensionbi. Con la legge di bilancio 2023 sono state introdotte fasce di perequazione automatica che limitano la rivalutazione degli assegni in base all’importo percepito. Un altro intervento che, sebbene abbia suscitato polemiche, di fatto taglia le pensioni più alte, quelle superiori a 4 volte il trattamento minimo, mentre preserva quelle più basse.

Poi c’è il decreto Lavoro del 1 maggio scorso che, grazie a finanziamenti per 10 miliardi di euro e allo stop al reddito di cittadinanza, taglia il cuneo fiscale per i lavoratori con salari medio-bassi. Per chi lavora ci saranno fino a 100 euro in più al mese in busta paga. Nessun intervento, invece, sulle pensioni che i sindacati si attendevano già da questo mese.

Meno assistenza alle rendite e più soldi ai redditi

Il governo, insomma, punta a sostenere il lavoro e le assunzioni piuttosto che le rendite (pensioni).

Un atteggiamento che può non piacere, ma che di fatto aiuterà il Paese a crescere e quindi a migliorare. Perché è attraverso la produttività e il lavoro che le cose migliorano, anche per le pensioni future, quelle dei giovani. La formula è semplice: meno soldi ai pensionati benestanti e più quattrini a chi lavora e deve metter su famiglia. Non è un caso se il nostro Paese è arrivato oggi ad avere un indice di denatalità record a livello europeo.

Come fa notare Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, siamo ormai diventati un Paese di assistiti. Il costo dell’assistenza è raddoppiato dal 2008 passando da 73 a 141 miliardi di euro. Ma anche la spesa per le pensioni è salita a quota 235 miliardi di euro raggiungendo livelli record a causa dell’incremento del numero dei pensionati da assistere con le uscite anticipate.

Di questo passo, se si continuano a destinare soldi alle pensioni con le uscite anticipate si andrà verso il collasso. Così, Quota 41, come chiede la Lega, non può trovare applicazione se non con tagli riconducibili al calcolo contributivo della pensione. Perché, altrimenti, costerebbe troppo. E oggi tali spese non sono più sostenibili se alla base manca quell’afflusso contributivo che solo l’occupazione e il miglioramento delle condizioni economiche del lavoro possono dare.