Marco Travaglio era tra i 7.149.000 spettatori che il 31 dicembre hanno ascoltato il discorso di fine anno di Giorgio Napolitano (più 12,2% di share tanto che si è parlato di flop dell’anti-discorso in streaming di Grillo, Discorso di fine anno: oltre a quello di Napolitano ci sarà quello di Grillo. ).   Ma in molti, Travaglio incluso, hanno ascoltato le parole del PdR con orecchie critiche, quasi con aria di sfida: il giornalista ha dato la sua personale spiegazione del messaggio di fine anno, commentando parola per parola.

 Editoriale di Marco Travaglio: la spiegazione del discorso di Napolitano

Tristezza: questa la sensazione che il giornalista ha percepito nell’ascoltare “l’ottavo monito del Presidente Monarca”. Travaglio ha definito il discorso come un “tentativo disperato di recuperare uno straccio di rapporto con la gente comune dopo il crollo di popolarità nei sondaggi (dall’ 84% di due anni fa al 47-49 di oggi) inaugurando la rubrica “La posta del cuore”“.

Nel primo editoriale del nuovo anno il giornalista critica la scelta di Napolitano di selezionare “alcune lettere di sudditi in difficoltà per la crisi, omettendo quelle critiche e senza rispondere a nessuna”. Il PdR ha infatti scelto sette missive inviate dagli elettori. Travaglio sottolinea come sia stato tristemente ipocrita fare riferimento al dramma degli esodati senza menzionare gli artefici di tale situazione, ovvero “il governo Monti e la ministra Fornero, creati in laboratorio da lui stesso”. Altrettanto critico il commento del giornalista de Il Fatto per l’elogio fatto da Napolitano al governo Letta jr. per le “misure recenti all’esame del Parlamento in materia di province e di finanziamento pubblico dei partiti”, due maquillage gattopardeschi che non faranno risparmiare un solo euro alla collettività”. E nel discorso di fine anno di Napolitano non è mancato “l’autoelogio per lo scrupoloso rispetto delle prerogative presidenziali” che Travaglio giudica addirittura “imbarazzante”: “lo dice lui, dunque c’è da credergli: come all’oste che assicura che il vino è buono”.

 Poco credibili le ragioni con cui giustifica la rielezione (della serie excusatio non petita, accusatio manifesta):  “peccato che il 20 aprile, dopo la quarta votazione a vuoto per il nuovo presidente, non ci fosse alcuna “paralisi istituzionale”: ben quattro presidenti non furono eletti nei primi quattro scrutini (Saragat passò al 21°, Leone al 23°; Pertini e Scalfaro al 16°), altri quattro passarono al quarto (Einaudi, Gronchi, Segni e Napolitano) e solo tre al primo colpo (De Nicola, Cossiga e Ciampi). E peccato che nessuno abbia ancora spiegato come fu che il mattino del 20 aprile, nel giro di due ore, Bersani, Berlusconi e Gianni Letta, Maroni, Monti e 17 governatori regionali su 20 abbiano avuto tutti insieme la stessa idea di salire in pellegrinaggio al Colle, sincronizzati disciplinatamente, per chiedergli di restare: furono colti tutti e 22 contemporaneamente da un attacco di telepatia o qualcuno suggerì loro quella scelta e dettò loro i tempi delle visite scaglionate?”