L’Italia è il Paese dei corrotti, dei politici inquisiti che si candidano e vengono rieletti. Nessuna inchiesta giudiziaria riesce a spazzare via la corruzione dai palazzi del potere e il Bel Paese sembra essere condanno al governo di caste di privilegiati, inquisiti e personaggi investiti da scandali più o meno gravi. Dopo lo scandalo che travolse il mondo politico nel 1992/1994, con l’inchiesta Mani Pulite, che vide migliaia di personaggi politici italiani inquisiti, condannati e coinvolti nei processi, il 36% di essi, nelle elezioni successive si ricandidò, 1 su 6 addirittura riuscendo a farsi rieleggere.

L’Italia, o in questo caso l’elettorato italiano, passata la bufera dimentica e i grandi condannati della politica sono riusciti a tornare in Parlamento nonostante le condanne. Umberto Bossi, Antonio Del Pennino, Cirino Pomicino, Marcello Dell’Utri, Cesare Previti sono solo alcuni dei grandi nomi dei condannati che hanno riottenuto il proprio posto nella casta nonostante la condanna. La ricerca, pubblicata dall’Espresso e condotta da uno studioso italiano che vive in America, Raffaele Asquer, mostra il rapporto tra politica e giustizia, non tenendo conto soltanto dei parlamentari ma anche degli amministratori locali inquisiti nelle inchieste di Tangentopoli. 163 deputati e 56 senatori furono accusati di vari reati, dalla corruzione al finanziamento illecito, dall’abuso d’ufficio alla concussione, dalla truffa alla ricettazione di tangenti. Nei 15 anni successivi 1 su 6 sono stati ricandidati e rieletti. I politici sembrano appartenere ad una casta talmente importante da diventare intoccabile soprattutto perché gli elettori tendono a dimenticare i processi, le accuse e le condanne tanto più in fretta quanto più il politico è importante. Solo nel 2008, con l’avvento del “Parlamento pulito” la tendenza a candidare condannati sembra preoccupare che tali candidature portino alla perdita di voti. “I dati dimostrano che i politici indagati nel 1992-94 hanno avuto minori probabilità di essere ricandidati nelle cinque elezioni successive rispetto ai non indagati.
Tra i parlamentari inquisiti, in particolare, c’è uno scarto del 22 per cento in meno rispetto ai non indagati, restano esclusi da questo studio tutti i casi di rientro in aziende pubbliche, segreterie di partito, associazioni politiche o imprese private”. Perché l’Italia non riesce a liberarsi di una classe dirigente corrotta neanche dopo 20 anni di processi e condanne? Il problema principale sembra essere legato alla debolezza del voto italiano e alla forza dei rapporti clientelari e, quindi, alla stessa corruzione che regna tra gli italiani. La politica a questo punto diventa uno specchio della realtà italiana e non bastano condanne e inchieste, che spesso grazie alle regole scandalose della giustizia italiana cadono in prescrizione, a mostrare il vero volto dei colpevoli né tanto meno i danni che la corruzione della casta ha provocato nel Paese. Negli Stati Uniti anche chi patteggia, deve confessare dichiarandosi colpevole, risarcire dei danni provocati e chiedere scusa ai cittadini. Nessuno negli USA si sognerebbe mai di accusare i magistrati dichiarandosi vittima degli eventi o della giustizia. In Italia il patteggiamento non presuppone nessuna ammissione di colpevolezza e dopo 5 anni la fedina penale torna ad essere pulita.