Si chiama “Vollgeld”, letteralmente “moneta intera” ed è il quesito rivoluzionario per il quale domani andranno a votare i cittadini in Svizzera per quello che, se passasse, sarebbe un referendum dagli esiti devastanti per il sistema finanziario mondiale. I proponenti vorrebbero eliminare la riserva frazionaria, ovvero quella pratica bancaria ormai in vigore da secoli, che consente agli istituti di prestare più denaro di quanto ne abbiano raccolto in forma di depositi. Funziona così: Tizio deposita 100 euro. La banca calcola che ordinariamente ha bisogno di 5 euro per il suo fabbisogno quotidiano e ne presta i restanti 95.

Questo denaro prestato a Caio viene utilizzato, per ipotesi, per pagare Sempronio per un acquisto effettuato. Quest’ultimo depositerà i 95 euro incassati e, a quel punto,  la banca tratterrà ancora una volta il 5% della somma e presterà il 95% (90,25 euro). E così via. In teoria, dai 100 euro iniziali, la banca potrebbe arrivarne a prestare un multiplo.

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Tuttavia, questo sistema, secondo i fautori del referendum, creerebbe le condizioni per scatenare una crisi creditizia, perché la banca sarebbe in grado di prestare denaro “dal nulla”. Per questo, chiedono che si ponga fine alla riserva frazionaria e che i depositi a vista delle banche commerciali vengano trasferiti presso la Banca Nazionale Svizzera. Contro si sono espressi il governo confederale e la stessa BNS, che hanno notato come l’economia svizzera finirebbe per pagare amaramente una simile rivoluzione nel mondo del credito.

Premettiamo che i sondaggi assegnano ai “no” circa i due terzi dei consensi. E già questo ci rassicura, perché se oggi vi fossero anche solo speranze che l’iniziativa sulla “moneta intera” passi, saremmo nel panico. In effetti, per quanto il referendum colga i timori di parte non indifferente dell’opinione pubblica elvetica sui guasti dell’attuale sistema monetario, le risposte fornite per via dell’abolizione della riserva frazionaria sarebbero disastrose.

Iniziamo subito con il dire che lo schema di cui sopra è attenuato da vari fattori. In primis, dal fatto che non tutto il denaro prestato torni indietro alle banche; secondariamente, i prestiti non vengono erogati senza alcun riguardo per i rischi, ovvero gli istituti, anche in forza delle normative e dei monitoraggi costanti delle autorità di vigilanza, tendono sempre a mostrarsi patrimonialmente solide, ovvero a porre un tetto al rapporto tra attività (prestiti) e passività (depositi), nonché tra prestiti e capitale.

Con la moneta intera crollerebbero i prestiti

Che cosa accadrebbe se una banca dovesse prestare solo il denaro in cassa? A fronte di depositi pari a 100, dovrebbe trattenere la quota stimata necessaria per il fabbisogno quotidiano, che ipotizziamo come nell’esempio precedente essere pari a 5. Nel caso in cui i 95 euro così prestati tornassero, in tutto o in parte, indietro e sempre in forma di depositi, non potrebbe più prestare tale denaro. In sostanza, una banca erogherebbe credito per un importo certamente inferiore al valore dei suoi depositi. Ne deriverebbe una contrazione assai pesante del credito, innescando una crisi economica per l’impossibilità di famiglie e imprese di vedersi finanziati rispettivamente acquisti di beni durevoli (si pensi ai mutui immobiliari) e investimenti.

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Nel caso dell’Italia, i prestiti delle banche risultano oggi superiori al denaro raccolta tra la clientela di una cinquantina di miliardi. Se dovesse essere abolita la riserva frazionaria, anche solo immaginando che gli istituti trattengano appena il 2% delle somme depositate (coefficiente di riserva obbligatoria nell’Eurozona), il credito erogato crollerebbe di circa 80-90 miliardi, ovvero di un importo corrispondente a circa il 5% del pil. Vi immaginate con quali conseguenze sul piano economico, quando già oggi riteniamo che le banche italiane prestino pochi soldi a imprese e famiglie? I proponenti replicano che i depositi verrebbero trasferiti in capo alla BNS, per cui il rischio di un “credit crunch” verrebbe meno.

Ma questa è una palese contraddizione: spostiamo la capacità di “generare moneta dal nulla” dalle banche private alla banca centrale? Quale sarebbe il guadagno per l’economia?

Quanto all’indebitamento crescente dell’economia, fenomeno comune al resto del mondo, esso lo si deve molto spesso, per non dire quasi sempre, a squilibri provocati proprio dal combinato disposto tra le azioni dei governi e quelle delle banche centrali. I primi tendono a consumare più risorse di quelle che riescono a sottrarre al settore privato in forma di prelievo fiscale; le seconde accrescono la moneta in circolazione a ritmi superiori a quelli strettamente necessari per permettere gli scambi, pressate dalla politica perché garantiscano condizioni accomodanti, ovvero tengano i tassi bassi. Un esempio in tal senso lo offre proprio la BNS, che in 10 anni ha espanso il suo bilancio da poco più di 100 a oltre 840 miliardi di franchi, effetto dell’intervento attuato per indebolire il cambio. Sarebbe da potenziare, semmai, proprio l’indipendenza delle banche centrali dalla sfera politica, quella sotto attacco da anni per la loro presunta indifferenza o scarsa sensibilità nei confronti delle condizioni delle rispettive economie. Con ciò, la “Vollgeld-Initiative” non ha niente a che spartire e segnala un problema reale, ma offrendo la soluzione sbagliata.

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