L’Italia è da decenni sorvegliata speciale per l’enorme quantità di debito pubblico accumulato. Nel 2022 dovrebbe essere sceso intorno al 145% del PIL contro una media nell’Area Euro di oltre 50 punti più bassa. L’origine del problema è ricondotto all’eccesso di spesa pubblica negli anni Settanta e Ottanta. Il clientelismo spicciolo della politica di allora portò all’elargizione di prebende elettorali un po’ a tutte le classi sociali, scaricandone i costi sulle future generazioni. I deficit di bilancio a doppia cifra furono la norma.

E pensate che la stampa nazionale neppure dibatteva sul problema. Nelle prime pagine la questione del debito pubblico non compariva mai. Eccesso di ottimismo da un lato e visione cortissima dall’altro.

Trend in crescita dall’Unità d’Italia al Fascismo

Sbaglieremmo, però, se pensassimo che il debito pubblico sia un dato relativamente recente. Al contrario, ha a che vedere con l’Unità Nazionale. Quando nel 1861 nacque il Regno d’Italia, il rapporto tra debito e PIL risultava inferiore al 40%. Ma servirono ingenti investimenti pubblici per costruire un Paese privo di infrastrutture di collegamento al suo interno. Gradualmente, il peso del debito pubblico cresceva e già superava il 110% agli inizi del Novecento. L’apice venne raggiunto subito dopo la Grande Guerra. La necessità di aumentare le spese militari costrinse il governo ad aumentare considerevolmente il deficit fino a quasi il 27% nel 1916. Considerate che tra la fine dell’Ottocento e fino al 1915, nell’era che spesso definiamo “giolittiana”, i conti pubblici italiani erano stati molto ordinati, con disavanzi fiscali sempre prossimi allo zero e, in qualche caso, in attivo.

Il Fascismo ereditò un debito pubblico di poco inferiore al 160% del PIL. Quello fu l’apice raggiunto nella nostra storia. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, tale rapporto risultava inferiore al 90%. Pur ancora altissimo, in forte calo rispetto a meno di venti anni prima.

Nei primi anni Quaranta, tornava a salire. Ed è chiaro il motivo: il deficit esplose fino ad oltre il 25% del PIL per effetto dell’aumento delle spese militari, mentre implose proprio il PIL per le devastazioni della guerra. Tuttavia, al termine di quest’ultima, il rapporto tra debito e PIL crollava fino al 25% nel 1947. E si mantenne sotto il 40% fino a inizio anni Settanta.

Debito pubblico giù con inflazione alle stelle

Ebbene, quel quarto di secolo che va dalla fine della guerra all’inizio degli anni Settanta rappresenta per l’Italia l’unico periodo realmente d’oro per l’equilibrio dei conti pubblici. Ma a cosa fu dovuto? Se è vero che l’Italia non è mai andata in default, d’altra parte ci pensò l’inflazione a risolvere il problema dopo 85 anni di storia unitaria. Conosciamo tutti la canzone “Se potessi avere mille lire al mese”. La cantava Gilberto Mazzi nel 1939. Quella frase ci dice praticamente tutto di quel che accadde sul piano economico in quegli anni. Mille lire, pari a 52 centesimi di euro odierni, equivalevano a uno stipendio attuale nell’ordine dei 1.000 euro. Eppure, già nel 1947 equivalevano ad appena 23 euro di oggi.

Accadde, cioè, che tra il 1939 e il 1947 i prezzi al consumo in Italia crebbero del 4.280%, al ritmo medio del 60% all’anno. Il PIL nominale s’impennò, specie quando la fine della guerra già nel ’45 fece risalire fortemente la produzione. Il debito pubblico, al contrario, perse di valore. Il rapporto crollò e l’Italia non ebbe alcun bisogno di rinegoziare i debiti come dovette fare, invece, la Germania con i creditori internazionali. Non andammo in default grazie all’inflazione alle stelle. A pagarne il prezzo furono chiaramente le famiglie, il cui potere di acquisto venne decimato.

Questa storiella dall’apparenza positiva ci sortisce una sensazione disperante.

Mai dall’Unità d’Italia siamo stati capaci di abbattere il debito pubblico, se non una sola volta attraverso l’espediente non auspicabile dell’inflazione. A dire il vero, un miglioramento era già avvenuto nella seconda metà degli anni Trenta, quando il boom economico trainato dalla corsa al riarmo, in vista delle imprese belliche in Africa, aveva fatto crollare bruscamente il rapporto tra debito e PIL. Ma era stata un’operazione in deficit, che avrebbe comportato un aumento del rapporto negli anni successivi, quando l’effetto sul PIL sarebbe venuto meno e avremmo dovuto sostenere una spesa per interessi più alta. Il miracolo economico post-bellico fu anche frutto del carovita degli italiani sotto le bombe.

[email protected]