La domanda appare sempre la stessa perché i giovani faticano a trovare lavoro in Italia? Le risposte sembrano molteplici ma ma non sempre si arriva ad una conclusione. Quando si parla di richieste del mercato del lavoro e le competenze cercate, da un lato ci sono i lavoratori o aspiranti tali che lamentano tutti i difetti di un mercato che sembra bloccato da un altro ci sono le aziende che lamentano la mancanza di competenze, si accusano i giovani di boicottare le materie tecniche-scientifiche, di non accettare le retribuzioni di ingresso e molto altro.

Il problema del percorso di studi

A fare luce su tutto ciò è stato il bollettino Excelsior di Anpal e Unioncamere, come riporta anche Il Sole 24 Ore, secondo cui il 31% delle aziende ha difficoltà a trovare personale per 1,2 milioni di contratti nei primi mesi del 2019. In particolare, si lamenta la mancanza di figure tecniche, scientifiche e ingegneristiche. I dati sembrano allarmanti se consideriamo il fatto che il tasso di disoccupazione in Italia è al 30%. Tra le figure che mancano in maniera assoluta spiccano gli specialisti di area scientifica e i tecnici in campo ingegneristico anche se negli ultimi anni sono cresciuti di molto i giovani laureati in ingegneria. Dall’altro lato ci sono giovani, almeno il 19%, che sono troppo qualificati per alcuni lavori, l’altro 20%, invece, come riportano i dati Ocse, sono sottoqualificati. Da un lato quindi emergono figure che non riescono ad essere premiate dal mercato, dall’altro mancano le giuste competenze.  Senza contare il numero di grandi imprese in Italia. Il quotidiano milanese, nella sua analisi, fa notare, prendendo come riferimento i dati Istat, che in Italia le micro imprese, quelle che hanno meno di 10 dipendenti, sono il 95,2% del totale, contro le 3.787 imprese di grandi dimensioni.

Il problema, dunque, o forse sarebbe meglio dire uno dei tanti problemi, è che le aziende non hanno interesse ad assumere candidati di alto profilo e da qui la scontentezza dei giovani che faticano ad accettare lavori che cozzano contro le aspettative.

A farlo notare è Giovanna Fullin, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro alla Bicocca di Milano, al Sole 24Ore secondo cui «In Italia scontiamo una struttura produttiva e una domanda di lavoro poco qualificata, a fronte di un’offerta di lavoro molto qualificata. È questo il vero mismatch».

Bisogna però considerare che anche la scelta universitaria conta. I laureati in ingegneria, ad esempio, a 5 anni dalla laurea vantano un tasso di occupazione del 90,1% contro il  74,7% dei laureati in materie letterarie. Questo significa che la scelta del percorso di studi ha un suo peso e che in Italia i laureati in ingegneria, materie scientifiche e informatiche, sono molti meno rispetto ai laureati in materie umanistiche.

Anche la retribuzione conta

Il problema, insomma, va visto in più ottiche: la scelta del percorso di studi, il tipo di domanda, la capacità delle aziende di investire su alcuni profili e poi c’è il nodo delle retribuzioni. In Italia rimane il fatto incontrovertibile che gli stipendi sono più bassi rispetto alla media europea. Se in Italia la retribuzione lorda oraria è di 19,92 euro all’ora la media Ue arriva anche a 25 euro all’ora fino ai 35 della Danimarca. Insomma, aldilà delle competenze, il fattore retribuzione ha un peso e qui si giustifica la scelta di molti giovani di andare all’estero.  In Italia infatti lo stipendio si alza con l’anzianità, dunque verso i 50 anni, e non durante il picco della produttività, 30-40 anni, come accade all’estero. Un altro fattore che scoraggia i giovani e li porta a preferire l’estero. Solo l’anno scorso 28mila laureati hanno lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero a causa delle cattive condizioni del mercato del lavoro.

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