Allarme inflazione Usa

Se ne è parlato tantissimo nel corso dell’ultimo anno ed ecco che la chimera dei mercati, l’inflazione, torna a far parlare di sé in maniera importante. Nel mese di aprile l’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è schizzato del 4,2% su base annua, oltre il 3,6% atteso dagli analisti, rispetto al 2,6% di marzo e al ritmo più alto dal 2008.

Il dato include i prezzi dei beni energetici e alimentari che sono stati nel corso dell’anno estremamente volatili.

Quello che ha spaventato di più Wall Street è stato però il dato “core”, ovvero quello che non considera questi ultimi che è cresciuto del 3% su base annua e dello 0,9% su base mensile, ben oltre lo 0,3% previsto dagli analisti, registrando il rialzo più forte dall’aprile 1982.

La reazione dei mercati

La reazione è stata accolta subito negativamente da tutti gli asset. L’azionario americano nel suo complesso è rimasto scosso con i titoli tecnologici che più di tutti hanno subito il dato e l’incertezza di possibili ulteriori rialzi dell’inflazione. Il mercato obbligazionario globale ha subito un’impennata dei tassi sui Treasuries Usa a 10 anni sopra l’1,50% e sui bund tedeschi a 30 anni che si sono attestati sopra l’0,5% (record dal giugno 2019). I tassi sui nostri BTP decennali sono volati di nuovo sopra l’1%, ai massimi da settembre.

Ma i dati sono così preoccupanti?

La Fed di Jerome Powell si aspettava un rialzo importante dell’inflazione per via di una “distorsione” dei dati, comportamento che in economia si definisce “base effects”.  Considerata la pandemia di Covid-19 e i livelli di inflazione dello scorso anno estremamente bassi, è bastato un piccolo rialzo dei prezzi per far schizzare alle stelle il dato sull’inflazione. Di conseguenza, questo trend inflazionistico potrebbe rimanere “drogato” su base annua ancora per diversi mesi proprio a causa della pandemia.

E i mercati lo sapevano. Quindi, probabilmente un rialzo dell’inflazione era atteso; quello che il mercato non si aspettava e che rimane il grande interrogativo su cui si stanno concentrando gli operatori e i grossi investitori è: per quanto tempo e quanto ancora possa crescere l’inflazione? Va da sé che i mercati non si fidano del tutto della Fed e l’hanno dimostrato scaricando gli asset più rischiosi.

Ovviamente il Nasdaq ha pagato il pegno più grande dal momento che i titoli hi-tech, visti i prezzi attuali, sono i più vulnerabili a un ulteriore rialzo dell’inflazione e a un “surriscaldamento dell’economia”.

Quindi cosa fare in questo momento?

L’errore più grande che si può fare è quello di non investire e tenere i soldi liquidi, questa regola vale sempre, ma in vista di un possibile rialzo dell’inflazione lo è ancora di più. Infatti molti risparmiatori commettono proprio questo errore, soprattutto in periodi di crisi, ovvero mettere da parte una quantità sconsiderata di denaro liquido per far fronte a esigenze improvvise.

Questo porta a una perdita certa anno su anno.

Il nostro denaro tenuto liquido con un rialzo dell’inflazione perderà potere di acquisto anno su anno. Il consiglio migliore è naturalmente quello di non improvvisarsi “lupi di Wall Street”, ma affidarsi a un consulente finanziario indipendente, che, in base al patrimonio, alla propensione al rischio e agli obiettivi del singolo, saprà consigliarlo nel migliore dei modi senza conflitti di interesse verso la creazione o la rimodulazione del portafoglio con asset class più indicate in periodi come questi.

Ad esempio, con l’inserimento in portafoglio di strumenti che hanno lo scopo di ridurre il rischio prodotto dal rialzo dell’inflazione come possono essere l’oro, obbligazioni indicizzate all’inflazione (inflation linked bond), una diversificazione anche sul Real Estate e la possibile introduzione di Bitcoin su minime quote del patrimonio (1/3 %), ad esempio.

Ovviamente la propria situazione va discussa direttamente con un consulente finanziario indipendente perché come in campo medico non esiste un farmaco efficace per tutti.