Dal 2000 il tuo quotidiano indipendente su Economia, Mercati, Fisco e Pensioni
Oggi: 05 Dic, 2025

Donne in pensione a 63 anni, anticipate con 41 anni di contributi e sconto di un anno a figlio

Per la pensione anticipata resta poco nel 2026? Ecco cosa cambia e che scenari dal 2027 con tutte le domande che bisogna porsi.
3 settimane fa
3 minuti di lettura
pensione anticipata
Foto © Pixabay

Ancora polemiche attorno alla legge di Bilancio varata dal governo. Discussioni accese sul fisco, tra tasse, taglio dell’IRPEF, cartelle esattoriali e rottamazione quinquies, ma anche – e come sempre – sulle pensioni.
Secondo le opposizioni, il governo avrebbe aumentato i requisiti e cancellato la flessibilità in uscita. Lo sostengono da Conte a Schlein, cioè tutti i principali partiti dell’opposizione.
Eppure, come vedremo, il governo non ha deciso di aumentare l’età pensionabile, ma ha semplicemente lasciato scadere due misure di pensionamento anticipato che da tempo mostravano scarsa efficacia.
Si può quindi accusare l’esecutivo di non aver mantenuto le promesse elettorali su flessibilità e tagli ai requisiti, ma non di aver introdotto nuovi vincoli.

Le regole che faranno aumentare l’età pensionabile nei prossimi anni non sono una sua invenzione, ma l’effetto di meccanismi automatici stabiliti in passato.

Pensioni anticipate, nel 2026 mancheranno delle misure di pensionamento flessibile?

Si dice che il governo abbia tagliato la flessibilità e che il sistema sia tornato alla legge Fornero. Tutto vero, ma con delle precisazioni.
Il governo Meloni è effettivamente colpevole di non aver prorogato, almeno per ora, Quota 103 e Opzione Donna, due misure che scadranno alla fine del 2025.

La prima permetteva di uscire a 62 anni di età con 41 anni di contributi, ma prevedeva un calcolo interamente contributivo dell’assegno.
La seconda consentiva alle donne – caregiver, invalide o lavoratrici licenziate da aziende in crisi – di andare in pensione a 59, 60 o 61 anni con 35 anni di contributi, sempre con calcolo contributivo pieno.

Due strumenti, però, che da tempo venivano utilizzati da pochissimi contribuenti.
La loro cancellazione non rappresenta quindi un “terremoto previdenziale”, ma piuttosto la fine di misure ormai residuali.

Il governo Meloni è responsabile dell’aumento dei requisiti sulle pensioni?

Su Opzione Donna, in particolare, Forza Italia – per voce del suo segretario Antonio Tajani, oggi Vicepremier – aveva promesso in campagna elettorale la conferma della misura. Una promessa, però, non mantenuta.

Sempre Forza Italia aveva annunciato due altri obiettivi:

  • portare le pensioni minime a 1.000 euro, come ai tempi del “milione” di Berlusconi;
  • bloccare il meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita.

Anche in questi casi, nessuna delle due promesse è stata realizzata.
Tuttavia, il meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti all’aumento della vita media non è stato introdotto da questo governo: risale infatti a un esecutivo Berlusconi e ha lo scopo di tutelare i conti pubblici.

L’idea è semplice: se i pensionati vivono più a lungo, le pensioni devono iniziare più tardi, per mantenere l’equilibrio del sistema.
L’attuale governo ha solo confermato il meccanismo, stabilendo che dal 2027 l’età salirà di un mese, e dal 2028 di tre mesi.
In pratica, l’esecutivo ha attenuato l’aumento, spalmando in due anni un rialzo che sarebbe dovuto scattare tutto insieme.

Berlusconi, Fornero e adesso il governo Meloni: chi è responsabile dell’adeguamento alla speranza di vita?

Il meccanismo che adegua i requisiti pensionistici alla speranza di vita nasce, come detto, durante un governo Berlusconi, per poi essere perfezionato con la riforma Fornero del 2011.


Quest’ultima ha ridotto i tempi di aggiornamento: fino al 2019 l’adeguamento era triennale, poi è diventato biennale.

Ecco la cronologia:

  • dal 1° gennaio 2013: +3 mesi;
  • dal 2016: +4 mesi;
  • dal 2019: +5 mesi.

Così l’età per la pensione di vecchiaia è passata da 66 anni (fino al 2012) a 67 anni (dal 2019).
Successivamente, non ci sono stati nuovi aumenti non per volontà politica, ma perché l’ISTAT ha certificato un calo della vita media dovuto alla pandemia.

Che fine ha fatto la pensione anticipata di Quota 41 per tutti?

Le promesse elettorali mancate non riguardano solo Forza Italia. Anche la Lega, guidata da Matteo Salvini, aveva promesso una Quota 41 per tutti, cioè la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

L’obiettivo era quello di proseguire la linea delle misure “a quota” introdotte negli anni, a partire da Quota 100 (introdotta nel 2019 dal primo governo Conte, sostenuto proprio da Lega e M5S).

Oggi, però, di Quota 41 per tutti non si parla più: la misura si è rivelata troppo costosa per le casse dello Stato.

La Lega aveva anche promesso di permettere alle donne di andare in pensione a 63 anni, riconoscendo uno sconto di un anno per ogni figlio. Anche questa proposta è rimasta solo sulla carta.

In sintesi, la legge di Bilancio 2026 segna la fine di alcune misure flessibili e il ritorno alla rigidità della Fornero, ma l’aumento dei requisiti non è colpa di questo governo: è l’effetto di regole automatiche ereditate, che nessuno, finora, ha avuto la forza – o la volontà – di cambiare.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

Riforma sul voto degli azionisti
Articolo precedente

Proxy advisors e gestori di fondi indicizzati nel mirino di Trump: nuove regole per il voto degli azionisti

bollo auto
Articolo seguente

Non hai pagato il bollo auto? Ecco perché sei tra i fortunati della prescrizione breve