La crisi dei marchi del lusso smentisce l’ottimismo sulla Cina

I marchi del lusso vivono una profonda crisi, scatenata perlopiù dal calo del fatturato in Cina e, più in generale, in Asia.
2 settimane fa
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Marchi del lusso in crisi
Marchi del lusso in crisi © Licenza Creative Commons

E’ scattato l’allarme tra i grandi marchi del lusso, che stanno vivendo una fase da incubo in borsa, riflettendo la crisi del mercato. Le azioni del colosso francese Lvmh sono crollate del 38% dai massimi di inizio anno, perdendo qualcosa come 174 miliardi di euro di capitalizzazione. La rivale Kering, che annovera marchi come Gucci, Bottega Veneta, Saint Laurent e Balenciaga, segna un drammatico -70% in tre anni, pari a una perdita di 61 miliardi in termini di capitalizzazione. Nei primi nove mesi dell’anno, la prima ha visto scendere i ricavi del 2%, la seconda del 12% (Gucci a -26%).

Marchi del lusso in crisi nera

La crisi dei marchi del lusso sta facendo i conti con la situazione in Asia. Se si escludono le vendite in Giappone, qui Lvhm maturava il 35% del suo fatturato nel 2021. Adesso, solo il 6%. Per Kering il crollo è stato molto minore, dal 38% al 32%. Il problema si chiama essenzialmente Cina. Il mercato del lusso quest’anno varrà sui 45 miliardi di euro, in calo del 20-22% rispetto al 2023. L’Europa vedrà una crescita del 3-4% a 110 miliardi, mentre gli Stati Uniti fletterebbero dell’1% a 100 miliardi. A livello mondiale, vendite stazionarie attorno a 1.500 miliardi. Uno studio di Bain & Company trova che dai prossimi mesi si potrebbe registrare un calo per la prima volta dalla crisi finanziaria globale del 2008-’09, ad eccezione del periodo Covid.

Crisi dei consumi in Cina

Il rallentamento dell’economia cinese è un dato assodato ormai da anni, accentuato dalla pandemia. Tant’è che il governo di Pechino ha da poco varato un piano pluriennale di stimoli fiscali per 10.000 miliardi di yuan, circa 1.400 miliardi di dollari. Per capire cosa succeda, bisogna dare uno sguardo al seguente grafico sulla fiducia dei consumatori cinesi:

Fiducia dei consumatori cinesi
Fiducia dei consumatori cinesi © Licenza Creative Commons

Agli inizi del 2022, in coincidenza con l’imposizione dei “lockdown” diffusi, c’è stata una caduta verticale dell’ottimismo tra le famiglie.

L’aspetto più grave è che da allora non c’è stata più una ripresa. L’ultimo dato parla di 85,80 punti ed è relativo al mese di agosto. Fino alla fine del 2021 si era su valori superiori a 120 punti. La stessa crescita dei consumi rallenta rispetto al periodo pre-Covid e avrebbe a che fare molto con il più generalmente rallentamento della crescita, che quest’anno si attesterebbe sotto il 5%.

Consumi delle famiglie cinesi
Consumi delle famiglie cinesi © Licenza Creative Commons

Il guaio è che i consumi delle famiglie cinesi sono già relativamente bassi, non arrivando al 38% del Pil. Pensate che negli Stati Uniti sfiorano il 70%, in Italia il 60% e nel resto delle economie avanzate si aggirano attorno proprio al 55-60%. L’alta propensione al risparmio dei cinesi si traduce in esportazioni elevate, che a loro volta sono state ad oggi il vero pilastro della crescita. I dazi di Trump lo minacciano direttamente e anche per questo Pechino già studia il mondo di irrobustire la domanda interna.

Anche i ricchi in Cina tirano la cinghia

Ma tutto questo con la crisi dei marchi del lusso cosa c’entra? Tanto. I titoli del settore in borsa erano stati spinti dalla convinzione che neanche una frenata dell’economia cinese avrebbe messo in affanno i consumi della classe più agiata. Già nel 2017 si contavano 140 milioni di persone appartenente al ceto medio, rientrante allora nella fascia di reddito annuale tra 14.000 e 70.000 dollari. L’idea era che i più ricchi non sarebbero andati in crisi e avrebbero continuato a comprare prodotti voluttuari dall’estero.

A quanto pare, non è proprio così. I cinesi stringono la cinghia sin dai tempi della pandemia e a farne le spese sono già proprio i marchi del lusso.

In parte è anche vero che la crisi si spiega con l’aumento delle importazioni dal Giappone, un mercato stimato in crescita del 12-13% quest’anno a 33 miliardi. L’indebolimento dello yen rende i suoi prodotti più convenienti. E qui veniamo ad un’altra sconfessione: l’idea che certi prodotti per ricchi possano continuare a crescere di prezzo di continuo senza intaccare la domanda.

Fattori extra-economici

Ci sarebbe una ragione “extra-economica” ad indurre la classe agiata cinese ad acquistare meno prodotti stranieri, mandando in crisi i marchi del lusso. Anzi, sono due: la prima ha una connotazione nazionalistica. Le tensioni geopolitiche di questi anni stanno smantellando quell’apertura anche mentale che si era avuta nei trenta anni passati. I consumatori tendono a riassegnare valore ai prodotti locali. In Occidente è più il principio del km zero per fini ambientali a smuovere le coscienze, in Asia l’orgoglio nazionale. A questo aggiungiamo che il regime comunista sta cercando di imprimere all’economia una svolta moralistico-paternalistica, invitando tra le righe i cittadini non solo a comprare meno dall’estero, ma anche ad ostentare meno la propria ricchezza, considerata una cattiva abitudine dell’Occidente capitalista.

Marchi del lusso non a prova di crisi

Dietro a questa politica si cela il tentativo di nascondere le profonde disuguaglianze sociali. Se i ricchi ostentano non ostentano i loro averi, i poveri non si accorgono di essere tali. I marchi del lusso risentono anche di questo cambiamento culturale, che sembra un passo indietro di decenni per la seconda economia mondiale. Tuttavia, segnala anche lo stato di crisi dello stesso Occidente, dove forse si è arrivati ad una sorta di auto-censura delle classi più abbienti per non indispettire il resto della popolazione alle prese con problemi economici quotidiani. Sta di fatto che le convinzioni del recente passato sono state spazzate via dalla realtà.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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