E’ stato un fine settimana ad alta tensione nell’isola dello Sri Lanka, dove la folla inferocita ha fatto irruzione nel palazzo presidenziale e ha dato fuoco alla residenza del primo ministro. In poche ore, sia il presidente Gotabaya Rajapaksa che il premier Ranil Wickremesinghe hanno annunciato le dimissioni. Il secondo era in carica da due mesi, a seguito delle dimissioni dell’ex premier Mahinda Rajapaksa, fratello dell’attuale capo di stato. Colombo è sprofondata nel caos. Formalmente, essendosi dimesse le due principali cariche istituzionali, ad assumere le redini della presidenza sarà presto lo speaker del Parlamento, Mahinda Yapa Abeywardena.
Sri Lanka senza più un dollaro
C’è il grosso timore che questi ultimi sviluppi allontanino un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, prolungando la crisi devastante dello Sri Lanka. Nei giorni scorsi, l’istituto di Washington aveva fatto sapere che non avrebbe erogato alcun prestito, a causa del flop delle trattative con il governo cingalese.
Da mesi, le piazze ribollono per le proteste dei cittadini, costretti a lunghe ore di fila nei supermercati e negozi per acquistare anche beni di prima necessità sempre più scarsi. Manca ormai persino il carburante. Le importazioni sono state ridotte ai minimi termini dal governo, dato che non esistono più dollari tra le riserve valutarie. A giugno, il ministro delle Finanze aveva dichiarato che vi fossero appena 23 milioni di dollari disponibili, praticamente uno per ciascun cittadino residente.
Cronologia della crisi
Come si è arrivati a questo punto? La crisi dello Sri Lanka è un mix perfetto tra mala gestione politica, pandemia e congiuntura internazionale avversa. Negli ultimi venti anni, Colombo è stata governata perlopiù dal clan Rajapaksa, accusato di corruzione e cattivo uso dei fondi pubblici. Nel 2019, il paese subì attentati suicidi contro le chiese cristiane. Il turismo subì un primo duro colpo. Negli stessi mesi, il governo tagliò le tasse in deficit, tra l’altro dimezzando l’IVA.
Siamo nel 2020 e la pandemia assesta il colpo fatale all’industria del turismo, indispensabile per le riserve valutarie. L’anno successivo, il governo vieta l’uso dei fertilizzanti chimici in agricoltura. Obiettivo: fare dello Sri Lanka il primo paese al 100% bio. Ma la decisione provoca il crollo dei raccolti e l’aumento delle importazioni alimentari. Poiché di dollari non ne entrano, il governo attinge alle riserve per comprare beni dall’estero. Queste si assottigliano sempre più, specie con l’esplosione dei prezzi delle materie prime negli ultimi mesi. All’inizio dell’anno, la banca centrale lascia fluttuare il cambio e la rupia perde così il 45% contro il dollaro. Ma non basta per rianimare i dollari in cassa.
E arriviamo a questa estate. Lo Sri Lanka dichiara default su 51 miliardi di dollari di debito estero, di cui 27 miliardi dovranno essere rimborsati entro il 2027. E 4 miliardi gli sono stati prestati solamente dall’India. Nel frattempo, il prosciugamento delle riserve valutarie impedisce a Colombo di importare beni, provocando la carenza diffusa di qualsiasi prodotto e facendo esplodere i prezzi. Il tasso d’inflazione schizza al 54,6% a giugno, trainato dagli alimentari a +80%. Ed è così che l’isola si sta rivolgendo alla Russia per acquistare petrolio a sconto, irritando gli USA, i quali stanno preferirebbero che fosse Nuova Delhi ad offrire ulteriore sostegno all’economia cingalese.
Economie emergenti in affanno
La crisi dello Sri Lanka presenta certamente elementi di specificità, ma sarebbe ingenuo supporre che resti un caso isolato. Il boom delle materie prime, tra cui di beni primari come il grano, stanno già alimentando tensioni in paesi a noi molto più vicini come Tunisia ed Egitto.