Scoprire un tesoro in casa e non riuscire a monetizzarlo. Una tortura psicologica come quella di chi, in questi anni, non riesce ad entrare nel proprio wallet di Bitcoin, avendo perso le credenziali di accesso. A Caserta un uomo originario di Firenze, tale Stefano Baldi, ha rinvenuto in una cassapanca in casa dei genitori la somma di 493 milioni di vecchie lire. Sarebbero grosso modo sui 250.000 euro. In termini reali, cioè al netto dell’inflazione, questa somma nel febbraio del 2002 valeva quanto più di 390.000 euro di oggi. Non stravolgono la vita, ma la aiutano parecchio. Presentatosi nella filiale della Banca d’Italia, gli è stato risposto che la conversione in lire non sia più possibile.
Tappe dalla lira all’euro
L’uomo non si è arreso e si è affidato ai legali per portare avanti una battaglia, che sembra onestamente contro i mulini al vento. Non che non abbia ragione. Semplicemente, si scontra con l’irragionevolezza dello stato italiano. Per i più giovani facciamo un passo indietro. Era l’1 gennaio del 1999 quando l’Italia insieme ad altri undici stati europei passava ufficialmente all’euro e rinunciava alla propria moneta nazionale. Tuttavia, fino al 31 dicembre del 2001 gli euro non circolavano. Lo fecero a partire dall’1 gennaio del 2002. Si poté ancora pagare in lire fino al 28 febbraio di quell’anno. Molti di noi ricorderanno la confusione che regnò in quei due mesi con la doppia circolazione.
Gli italiani ebbero l’opportunità di convertire le lire in euro per tutti i dieci anni successivi. Ma il governo Monti anticipò al 6 dicembre 2011 la possibilità di scambiare le lire in euro.
La Corte Costituzionale con sentenza n.216 del 7 ottobre 2015 dichiarò tale previsione illegittima, consentendo a tutti coloro che ne avessero fatto richiesta tra il 6 dicembre 2011 e il 28 febbraio 2012 di beneficiare della conversione da lire in euro.
Complesso d’inferiorità in Italia
I legali del signor Baldi sostengono che la prescrizione dei dieci anni dovrebbe decorrere più correttamente dalla scoperta della somma. E lamentano la scarsa pubblicità sui termini fissati per legge. La scelta dell’Italia di non consentire più la conversione delle lire è stata tra le più rigide nell’Eurozona. Altri stati come il Portogallo fissarono un periodo di venti anni e l’Olanda di trenta. Addirittura, undici non fissarono alcuna scadenza per le banconote. Tra questi c’è la Germania, che accetta ancora oggi i marchi tedeschi per la conversione in euro. Ci sono attività che li accettano persino in pagamento, consapevoli che potranno sempre scambiarli in euro presso la Bundesbank al cambio definitivo di 1,95:1.
Perché la Germania sì e l’Italia no? Il sospetto è che vi sia stato un complesso d’inferiorità di noi italiani all’alba dell’euro. Poiché non vedevamo l’ora di sentirci più “ricchi” e “potenti” con una moneta più forte in tasca, sminuimmo il vecchio conio e fissammo termini restrittivi per la conversione da lire ad euro. Peccato che l’Italia dei nostri nonni funzionasse in maniera un po’ diversa da quella attuale iper-tecnologica e bancarizzata. Nelle loro cassapanche era solito trovarvi i risparmi, anche di un’intera vita.
Soldi lasciati in eredità, insieme spesso ai Buoni fruttiferi postali.
Convertire lire in euro impossibile? C’è il collezionismo!
I sacrifici di quell’Italia sono stati quasi ridicolizzati, se non tacciati esplicitamente di evasione del fisco. Con la conseguenza che oggi molti figli e nipoti sono inermi dinnanzi all’irremovibilità del legislatore. Data l’impossibilità di convertire le lire, l’unica soluzione perseguibile sarebbe di conservare banconote e monete a scopi numismatici. Il collezionismo va forte, specie ora che iniziano ad essere tanti gli anni in cui siamo passati all’euro. Il valore di vendita può essere elevato, particolarmente se si offre un’intera serie di banconote di un certo taglio. Certo è che sperare di racimolare una cifra soddisfacente e vicina al valore nominale di un tempo, diventa illusorio.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


