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Oggi: 09 Dic, 2025

Aumento pensioni 2026 divorato dalle tasse: gli esempi reali che confermano la “beffa”

Aumenti minimi, tasse che erodono tutto e pensionati sempre più in difficoltà: gli esempi reali mostrano perché l’aumento pensioni delude
7 giorni fa
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pensioni aumento
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Dal 1° gennaio 2026 scatterà l’aumento pensioni previsto dal decreto del 19 novembre 2025, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28 novembre. Si tratta della consueta perequazione annuale, pensata per adeguare gli assegni al costo della vita. Per il 2026 la percentuale fissata è dell’1,4%, un valore leggermente più alto rispetto all’anno precedente, quando l’adeguamento era più contenuto di 0,8 punti.

Tuttavia, secondo l’analisi tecnica degli uffici Previdenza della Cgil nazionale e dello Spi Cgil, questo aumento pensioni non basta a recuperare la perdita di potere d’acquisto subita nel biennio 2022–2023, segnato da un forte rialzo dei prezzi. Inoltre, una parte consistente della rivalutazione viene mangiata da Irpef e addizionali, con il risultato che l’impatto reale sui portafogli dei pensionati risulta molto modesto.

L’obiettivo dell’aumento pensioni 2026

La logica alla base del nuovo aumento pensioni è quella di preservare, almeno in parte, il potere d’acquisto delle prestazioni previdenziali. Negli ultimi anni l’inflazione ha inciso in maniera significativa sulle spese quotidiane, soprattutto per le fasce più fragili, che destinano gran parte del reddito a beni essenziali come alimentari, utenze e sanità.

La rivalutazione dell’1,4% interessa quasi tutte le pensioni e rappresenta, sulla carta, una boccata d’ossigeno per milioni di beneficiari. L’intervento si inserisce nel meccanismo già conosciuto di adeguamento automatico, che collega l’aumento pensioni alla dinamica dei prezzi registrata nell’economia.

Il meccanismo di rivalutazione: percentuali e soglie

L’aumento pensioni 2026 non si applica nello stesso modo per tutti. Il sistema resta improntato alla progressività: le pensioni più basse beneficiano dell’adeguamento pieno, mentre per gli assegni più alti la percentuale si riduce.

Per il 2026 sono previste tre fasce principali:

  • Rivalutazione al 100% dell’1,4% per chi riceve un importo fino a quattro volte il minimo INPS.
  • Rivalutazione al 90% per i trattamenti compresi tra quattro e cinque volte la pensione minima.
  • Rivalutazione al 75% per chi percepisce più di cinque volte il minimo.

Questo schema conferma la volontà di tutelare maggiormente gli assegni più contenuti, riducendo gradualmente il beneficio man mano che cresce l’importo della pensione.

Gli esempi concreti: aumenti pensione 2026 spesso simbolici

Pur riconoscendo la necessità dell’aumento pensioni 2026, la nota Cgil e lo Spi Cgil sottolineano come, una volta entrate in gioco le tasse, gli incrementi si riducano a cifre spesso quasi simboliche. L’analisi sindacale porta alcuni esempi:

  • Le pensioni minime che nel 2025 risultano pari a 616,67 euro saliranno nel 2026 a 619,79 euro: appena 3,12 euro in più al mese.
  • Una pensione di 632 euro netti nel 2025 arriverà a 641 euro netti nel 2026, con un incremento di soli 9 euro mensili.
  • Una pensione da 800 euro netti crescerà anch’essa di 9 euro, passando da 841 a 850 euro netti.
  • Un assegno da 1.000 euro netti registrerà un aumento di appena 11 euro al mese.
  • Una pensione di 1.500 euro lordi, dopo l’applicazione dell’Irpef e delle addizionali, vedrà un incremento effettivo di circa 17 euro mensili.

Secondo i sindacati, questi numeri mostrano chiaramente come l’aumento pensioni, pur formalmente presente, non sia sufficiente a colmare la perdita accumulata negli anni di forte inflazione.

Aumento pensioni 2026: l’effetto delle tasse e le critiche dei sindacati

Il nodo centrale messo in luce dall’analisi della Cgil riguarda proprio l’effetto dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali. Una parte rilevante dell’aumento pensioni viene assorbita dal prelievo fiscale, riducendo al minimo il beneficio netto per i pensionati.

Nella loro nota, la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione e il segretario nazionale dello Spi Cgil Lorenzo Mazzoli parlano di difficoltà economica crescente per milioni di pensionate e pensionati. La conclusione è netta: non solo non si recupera il potere d’acquisto perso negli ultimi anni, ma si prosegue lungo una strada che rischia di impoverire ulteriormente chi già vive con redditi insufficienti.

Per i sindacati, quindi, l’aumento pensioni 2026 rappresenta un passo limitato e non risolutivo. La richiesta è chiara: servono interventi strutturali su previdenza e fisco, non semplici operazioni considerate di facciata. Solo una riforma più ampia, che tenga conto realmente del costo della vita e del peso delle imposte sugli assegni, potrebbe restituire stabilità e dignità economica a chi è già in pensione.

Riassumendo

  • Rivalutazione 2026 all’1,4%, insufficiente per recuperare il potere d’acquisto perduto.
  • Incrementi minimi su pensione minima e assegno sociale, con importi leggermente ritoccati.
  • Aumento pensioni applicato in modo progressivo con tre fasce di rivalutazione.
  • Benefici netti molto ridotti a causa di Irpef e addizionali locali.
  • Esempi mostrano aumenti mensili minimi, spesso solo di pochi euro.
  • Cgil chiede interventi strutturali per tutelare realmente i redditi dei pensionati.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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