Il presidente americano Donald Trump ha dato l’annuncio: c’è l’accordo tra Israele e Hamas sul piano di pace, almeno relativamente alla prima fase. Il 13 ottobre avverrà il rilascio degli ultimi ostaggi israeliani, di cui 20 dovrebbero ancora essere vivi. In cambio, 1.950 prigionieri palestinesi verranno liberati. Le truppe israeliane si ritireranno immediatamente dalla Striscia di Gaza. Una notizia che avrebbe dovuto impattare negativamente stamane sulle quotazioni dell’oro, la cui corsa da mesi appare inarrestabile. Invece, il grafico non mostra variazioni significative. Un’oncia di metallo giallo continua a costare intorno a 4.030 dollari.
Non solo guerre dietro al boom
Questo dato svela che la corsa dell’oro negli ultimi tempi avrebbe avuto poco a che vedere con le tensioni geopolitiche.
Gli acquisti del bene rifugio per eccellenza sono storicamente robusti nei periodi di guerre o quando la temperatura tra stati si surriscalda. Certo, anche ammettendo che la pace tra Israele e Hamas sarà effettivamente raggiunta, nel mondo continueranno ad esistere altre fonti di tensione. Il più preoccupante per gli equilibri globali è lo scontro in corso tra Russia e Occidente.
Tuttavia, dietro alla corsa dell’oro si celano perlopiù altre ragioni. Le banche centrali stanno accumulando lingotti per aumentare le rispettive riserve auree e allentare progressivamente la dipendenza dal dollaro. Il settore privato compra per ripararsi dalle crisi dei conti pubblici che si moltiplicano tra le grandi economie. Infine, c’è il sospetto che le banche centrali non saranno capaci e desiderose di riportare i livelli d’inflazione attorno ai target fissati. Terranno i tassi di interesse più in basso di quanto dovrebbero, così da agevolare le finanze statali.
Corsa dell’oro ai massimi dal ’79
La curva dei rendimenti sui mercati avanzati ci lancia proprio questo segnale. Il mercato teme inflazione e debiti, mentre mette in conto tassi bassi per il prossimo futuro. Queste aspettative giustificherebbero la corsa dell’oro, che generalmente si ha con rendimenti calanti e non crescenti. Da inizio anno, quotazioni in dollari a +53,5%. Se confermato da qui a fine anno, sarà il maggiore incremento annuale dal 1979. E anche quello fu un anno particolare. La rivoluzione islamica in Iran provocava la caduta dello scià e l’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini. Vi sarebbe stata una seconda crisi petrolifera e l’inflazione sarebbe nuovamente risalita.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

