L’America è ufficialmente in “shutdown”. E’ il titolo di apertura obbligatorio per ogni quotidiano che si occupi di economia e sembrerebbe un evento epocale, salvo scoprire che è accaduto una ventina di volte nell’ultimo mezzo secolo. L’allora presidente Ronald Reagan dovette affrontarne uno per ciascuno degli otto anni delle sue due amministrazioni (1981-1989). L’ultimo fu nel 2019 e sempre sotto l’amministrazione Trump. Si distinse per la durata: 35 giorni. La più lunga di sempre.
Servizi federali sospesi con shutdown
Cos’è lo shutdown? L’anno fiscale negli Stati Uniti inizia l’1 ottobre e finisce il 30 settembre dell’anno successivo.
Questo significa che entro questa data il Congresso deve approvare il bilancio, autorizzando le spese del governo. Se non avviene, ufficialmente i servizi federali vengono sospesi. Non tutti, bensì quelli non essenziali come i musei e i parchi nazionali.
Maggioranza e opposizione divise
Una peculiarità americana risiede nel fatto che l’approvazione del bilancio richiede il voto favorevole di 60 senatori su 100. Molto difficile che un partito abbia una maggioranza così ampia. I repubblicani si fermano a 53. Ciò assegna ai democratici un potere di ostruzionismo, che nelle scorse ore ha impedito il raggiungimento di un accordo. Nel dettaglio, i secondi chiedevano alla Casa Bianca di estendere le detrazioni fiscali legate all’Obamacare in cambio dell’assenso ai fondi reclamati dai repubblicani.
Poiché questo non è accaduto, l’America è entrata ufficialmente in shutdown. Il presidente Donald Trump ha minacciato il licenziamento di numerose persone. Ad ogni modo, contrariamente a quanto abbiamo letto negli ultimi anni sui giornali europei, l’evento non ha nulla a che vedere con il “default”.
A volere essere sinceri, ha tutte le caratteristiche di una sceneggiata, pur con implicazioni negative per l’economia. Infatti, i dipendenti federali congedati perdono lo stipendio per i giorni della sospensione e coloro che lavorano potrebbero essere pagati in ritardo.
Cresce incertezza
Lo shutdown è rischioso per l’aumento dell’incertezza presso la prima economia americana. Può colpire i consumi, dato che le famiglie non conoscono bene cosa accadrà a diverse voci della spesa pubblica. Paradossale che possa sembrare, proprio questo aspetto può favorire Trump nella sua battaglia contro la Federal Reserve. Egli reclama – e a settembre ha ottenuto – il taglio dei tassi di interesse. E ciò può accadere in un contesto di inflazione calante e di economia debole. Lo shutdown impatta negativamente proprio il Pil, colpendo i consumi e possibilmente calmierando temporaneamente i prezzi.
Shutdown riduce fiducia
D’altra parte, un evento del genere non depone a favore della fiducia dei mercati verso il sistema americano. Già con l’annuncio dei dazi i titoli del debito USA hanno traballato, inviando un segnale allarmante alla Casa Bianca. L’incertezza non piace agli investitori, anche perché nel mondo ce n’è già fin troppa. In queste ore, infatti, l’oro ha toccato un nuovo record a più di 3.873 dollari l’oncia.
E il dollaro s’indebolisce contro le altre principali valute mondiali. A questo punto, l’attenzione si sposta sulla durata dello shutdown. Se si protraesse per settimane, l’economia americana subirebbe un contraccolpo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


