La Naspi è l’indennità di disoccupazione erogata dall’INPS a chi perde involontariamente il lavoro. Si tratta di un vero e proprio ammortizzatore sociale, probabilmente il più importante e diffuso in Italia.
In alcuni casi, la Naspi può essere percepita anche continuando a lavorare, ma soltanto con attività a reddito molto basso, che comunque riducono in modo significativo l’importo della prestazione. Al contrario, chi ha un normale stipendio non può accedere al sussidio, poiché alla base della misura vi è il principio dello stato di bisogno del richiedente.
Esiste però un’eccezione interessante: in alcuni casi, la Naspi diventa di fatto un’aggiunta allo stipendio.
Si tratta delle somme già percepite che, in passato, dovevano essere restituite all’INPS in caso di nuova occupazione, ma che oggi – grazie a una sentenza della Cassazione – restano nelle tasche dell’ex disoccupato. La novità riguarda i precari che, dopo una causa di lavoro, ottengono la trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
Ai precari Naspi e stipendio insieme: la decisione della Cassazione
Per tutelare i lavoratori precari – coloro che hanno contratti a termine – la Cassazione ha stabilito un nuovo orientamento sull’obbligo di restituzione della Naspi.
In caso di contenzioso tra dipendente e datore di lavoro per l’uso illegittimo dei contratti a scadenza, se il lavoratore vince la causa, il rapporto deve essere trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato.
Normalmente, quel lavoratore, una volta scaduto il contratto, avrebbe percepito la Naspi. In passato, l’INPS poteva chiedere la restituzione di quanto erogato, poiché il rapporto veniva “coperto” retroattivamente dal nuovo contratto.
Oggi la Cassazione stabilisce che la Naspi non va restituita, anche se il dipendente viene reintegrato e riceve gli stipendi arretrati.
Se il reintegro è retroattivo, la Naspi resta al lavoratore
Gli ermellini della Cassazione hanno chiarito che, quando un tribunale del lavoro riconosce l’effetto retroattivo dell’assunzione a tempo indeterminato, il lavoratore ha comunque diritto a trattenere la Naspi percepita.
La motivazione è chiara: lo stato di bisogno esisteva realmente nel periodo di disoccupazione, indipendentemente dal successivo riconoscimento dell’illegittimità del contratto.
>In sostanza, la persona aveva perso lo stipendio e aveva diritto alla tutela, anche se in seguito il giudice ha imposto il reintegro con copertura dei mesi “vuoti”.
La Cassazione, con la sentenza n. 23876 del 26 agosto, ha quindi stabilito che la Naspi può essere mantenuta anche in presenza di:
- nuovo contratto a tempo indeterminato con effetto retroattivo;
- stipendi arretrati riconosciuti;
- eventuale risarcimento danni disposto dal tribunale.
Il caso concreto esaminato dalla Cassazione
Tutto nasce dal ricorso dell’INPS contro un lavoratore precario.
Quest’ultimo, dopo la scadenza di un contratto a termine, aveva percepito un anno di Naspi. In seguito, il contratto è stato dichiarato illegittimo, con trasformazione a tempo indeterminato retroattivo e riconoscimento di un risarcimento una tantum da 18.000 euro, a carico del datore di lavoro, oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali.
Secondo l’INPS, in questi casi l’indennità deve essere restituita, poiché il vuoto reddituale è di fatto colmato.
La Cassazione, invece, ha stabilito che la Naspi non deve essere restituita, poiché al momento della sua erogazione esisteva un effettivo stato di bisogno.
Naspi e stipendio insieme: una novità per i lavoratori precari
Questa sentenza apre la strada a una situazione particolare. Alcuni lavoratori, in seguito a vertenze giudiziarie, possono trovarsi a incassare sia la Naspi che lo stipendio (o un risarcimento equivalente).
Un orientamento che rafforza la tutela dei precari, riconoscendo che il sostegno percepito nei periodi di disoccupazione era comunque legittimo e dovuto.
