Donald Trump e Unione Europea non si amano e non sta scritto da nessuna parte che debbano in futuro. Ma per il bene di 800 milioni di cittadini, sarebbe urgente che Bruxelles e Washington si parlassero per discutere in tempi rapidi di un accordo UE-USA di natura commerciale e geopolitica. Ieri, un’altra giornata di passione sui mercati. Il giorno prima la Commissione europea aveva imposto dazi sulle importazioni di alcuni prodotti specifici americani in risposta ai dazi di Trump al 25% sul nostro alluminio e acciaio. La contro-ritorsione è stata annunciata dallo stesso presidente americano via social: dazi al 200% su tutti gli alcolici made in UE.
Accordo UE-USA in alto mare
Le relazioni commerciali sono tese al momento anche tra Stati Uniti da una parte e Messico, Canada e Cina dall’altra. Ma è forse con l’Europa che si rischia di arrivare allo scontro più truce, complice l’assenza di una classe politica di livello a Bruxelles capace di interloquire con i grandi della Terra. La guerra dei dazi non conviene a nessuno, neppure allo stesso Trump, che lo sa perfettamente e che dal giorno dell’insediamento usa questa minaccia come leva per accrescere il suo potere negoziale verso gli altri Paesi.
Con Canada e Messico è stato esplicito: dazi sulle loro merci se non collaborano nel controllo delle frontiere e nella lotta al fentanyl. Più o meno simili le richieste avanzate alla Cina, a cui si aggiunge la ricerca di un “grande accordo” più complessivo. Mentre su un eventuale accordo UE-USA non si sa proprio nulla, cioè quali debbano esserne i contorni.
Ed è questa la principale incertezza che rischia di alimentare sfiducia sui mercati e di degenerare nella recessione economica.
Globalizzazione in crisi
I dazi riducono i commerci tra stati, rimpiccioliscono i mercati di sbocco e creano nel tempo una crisi di sovrapproduzione, che si traduce nella riduzione dei posti di lavoro e nell’aumento dei costi di produzione. Il futuro sarebbe con meno merci a disposizione e più care. E’ quello che vogliamo per fingere di esserci reimpossessati della nostra sovranità economica? Nessuno lo vuole, anche se verosimilmente la globalizzazione è finita per come l’abbiamo conosciuta e d’ora in avanti gli scambi commerciali e finanziari saranno segmentati perlopiù all’interno di precise aree d’influenza con caratteristiche geopolitiche al loro interno ben definite.
Cosa concedere a Trump in un eventuale accordo UE-USA e cosa pretendere da lui? Sono le due domande che i commissari e i governi comunitari dovrebbero porsi in queste ore, anziché formulare documenti incendiari e porre in essere reazioni verbali distruttive. La Casa Bianca pretende che spendiamo di più nella difesa, così da sgravare il bilancio americano. E questo lo stiamo segnalando, pur con tutte le incertezze del caso. Ma l’obiettivo finale del tycoon sarebbe un altro: svalutazione del dollaro orchestrata in stile Accordo di Plaza.
Cambio e debito, missione quasi impossibile per Trump
Per esportare di più e importare di meno gli Stati Uniti dovrebbero avere (anche) un cambio più debole.
Il problema è che esso non si ottiene con la bacchetta magica. Proprio per il suo status di valuta di riserva mondiale, il dollaro attira capitali globali nelle fase incerte e di paura, peggiorando i saldi commerciali americani. 40 anni fa la svalutazione fu possibile in un mondo ancora semi-chiuso, dove le principali potenze economiche erano tutte occidentali, cioè allineate agli Stati Uniti. Oggi, la situazione è ben diversa. Soprattutto, svalutare il dollaro implica automaticamente rivalutare euro, sterlina, yen, ecc. Non è quello che vorrebbero i governi europei, al di là di un certo margine.
Come se ne esce? Trump vorrebbe rendimenti più bassi per ri-finanziare l’immenso debito americano a costi inferiori. Ciò lo si otterrebbe solo aumentando la domanda di Treasuries. Quale migliore occasione per costringere i partner commerciali a comprare, magari attraverso le loro banche centrali? Il problema è che ciò alimenterebbe la domanda di dollari, apprezzandoli. A meno che nel frattempo la Federal Reserve fosse in grado di tagliare i tassi anche in misura consistente senza che le controparti reagissero. L’America prenderebbe due piccioni con una fava: cambio più debole e debito meno costoso.
Accordo UE-USA in cambio di sicurezza?
Poiché le forze del mercato andrebbero in direzione opposta, Trump vorrebbe che un eventuale accordo UE-USA fosse più frutto di un ragionamento politico. Non è detto che funzioni, anche perché la Fed potrà tagliare solo se l’inflazione americana lo consentirà. E un dollaro più debole finisce per innalzare l’inflazione. Potrebbe riuscire a portare a casa solo uno dei due grandi obiettivi. E noi? Il problema è che non sappiamo quale contropartita chiedere, se non la salvaguardia dello status quo. Potremmo iniziare a trattare sul mantenimento dell’ombrello NATO a garanzia della sicurezza territoriale del continente. Ma fino a quando a Bruxelles nessuno alzerà la cornetta, il dialogo neanche partirà. E l’incertezza tra un po’ deflagrerà nella crisi conclamata dell’economia.