C’è tensione nell’Unione Europea tra istituzioni comunitarie e governi nazionali. I portavoce delle prime hanno reagito alle accuse di disfatta lanciate dai secondi, Francia in testa, dopo il raggiungimento in Scozia di un accordo sui dazi con gli Stati Uniti. Il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha voluto precisare che quello sottoscritto sarebbe stato “il migliore accordo possibile; voi non eravate in quella stanza”. La verità è che è stata sì una disfatta, ma non per colpa di una tattica negoziale sbagliata. Più semplicemente, Ursula von der Leyen non disponeva di punti di forza per trattare. Sarebbe come se se si offrisse un bicchiere di acqua a un uomo che sta morendo di sete in un deserto, ma a patto che riconosca il benefattore come suo sovrano.
Quale scelta realmente avrebbe?
Punti clou dell’accordo sui dazi UE-USA
L’UE si è impegnata ad accettare diversi punti, che vi riassumiamo:
- dazi al 15% sulle sue merci esportate negli USA
- nessun dazio supplementare sulle merci importate dagli USA
- acquisti di petrolio e gas per 750 miliardi di dollari in 3 anni
- investimenti per 600 miliardi di dollari in 3 anni
- “massicci” acquisti di armamenti dagli USA
Controversi appaiono altri punti, tra cui la cancellazione della “web tax” sulle Big Tech americane. L’UE ieri ha chiarito che la potestà normativa resta in capo alle sue istituzioni. Un modo senz’altro per salvare la faccia e fingersi sovrana in merito alla possibilità di colpire le multinazionali del web americane con nuove imposte.
Acquisti di energia, numeri
Perché questo accordo sui dazi appare di difficile esecuzione dopo che lo si studia nei dettagli? Andiamo al punto 3.
L’UE s’impegna a comprare energia dagli USA per 750 miliardi in 3 anni, ossia al ritmo di 250 miliardi. Fate conto che nel 2024 gli acquisti furono per 78,5 miliardi. Se dovessimo adempiere a quest’obbligo, dovremmo più che triplicare gli acquisti medi annuali. Al riguardo sorgerebbero diversi problemi. Il primo è che non è l’UE a decidere dove e quanto acquistare, bensì le imprese. Va bene la geopolitica, ma non possiamo pretendere che siano i governi a imporre alle società se acquistare gas e petrolio dagli americani, anziché da algerini, qatarini, norvegesi, ecc.
Siamo in un libero mercato, anche se in misura crescente eterodiretto dallo stato. E anche se le imprese obbedissero agli ordini, nel frattempo dovrebbero disdire molti contratti stipulati già a lungo termine. E la risoluzione unilaterale porta sempre al pagamento di penali. Ed ipotizziamo che questo problema non esista; resta il fatto che dagli USA importiamo per ovvie ragioni solo gas liquido. C’è un limite alla quantità di LNG importabile, determinato dalle strozzature dell’offerta, cioè dal numero dei rigassificatori presenti e attivati al largo delle coste europee. Solo rimanendo all’Italia, dovremmo spendere 30 miliardi di dollari all’anno per importare energia americana contro importazioni totali (tutte le merci) per 28 miliardi nel 2024.
Investimenti promessi
Questo è uno dei due punti più critici dell’accordo sui dazi. L’altro riguarda gli investimenti promessi: 600 miliardi in 3 anni.
Anche qui ci permettiamo di notare che non puoi decidere dove e quanto le imprese private debbano impiegare i capitali. E sempre ammesso che questo non fosse un problema, ce ne sarebbe un altro di numeri. Al 2023, stando a Banca d’Italia, gli investimenti diretti italiani negli USA ammontavano a poco più di 63 miliardi di euro. All’Italia spetterebbe una quota di oltre 70 miliardi da investire sul mercato americano e in 3 anni. In pratica, dovremmo raddoppiare la nostra quota in tempi veloci. Le nostre imprese dovrebbero portare negli USA la media di 20 miliardi di euro all’anno (al cambio attuale) contro i 4 miliardi dell’ultimo decennio. Conteggiando tutti gli investimenti diretti nel resto del mondo, la media decennale è stata di appena 17 miliardi.
Accordo sui dazi incerto dopo entrata in vigore
Questi numeri smentiscono l’accordo sui dazi su punti qualificanti. Sembrano messi giù nero su bianco da chi non capisce una mazza di economia o ai tempi della pianificazione nel blocco sovietico. Un modo aberrante di concepire il funzionamento delle relazioni commerciali. Non si può né chiedere e né promettere di acquistare tot miliardi di questo o quel prodotto. A decidere saranno sempre produttori e consumatori sulla base di elementi quale prezzi, affidabilità dei fornitori, tempi di consegna e qualità del prodotto.
Un accordo sui dazi così scritto rischia di alimentare l’incertezza in fase esecutiva. Sarà fin troppo facile tra alcuni mesi o qualche anno al massimo per Trump registrare il mancato adempimento degli obblighi. A quel punto, potrebbe minacciare o anche imporre direttamente dazi ancora più alti. Più facile sarebbe rispettare un impegno simile riguardo alle armi. Basterebbe una commessa statale per accontentare Washington. Ma su energia e investimenti decidono i privati. E von der Leyen ha appena venduto a Trump la Fontana di Trevi. Ma a differenza di Totò, è lei ad uscirne beffata. E io pago, direbbe il comico napoletano.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

