Mentre siamo in piena sessione di bilancio, lo scontro tra governo Meloni e parte dell’opposizione si concentra su una delle misure passate e che porta la firma dell’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E’ ancora il Superbonus 110 a rappresentare motivo di frizione tra centro-destra e Movimento 5 Stelle, con il primo ad accusare il secondo di avere devastato i conti pubblici a detrimento di spese come sanità e scuola. Gli ormai ex grillini replicano piccati che ciò sia falso, che il maxi-incentivo edilizio avrebbe consentito al Pil di correre dopo la caduta accusata in pandemia e che fosse stato condiviso sostanzialmente da tutte le forze politiche rappresentate allora in Parlamento.
Legge di Bilancio 2026 austera
La quarta manovra di bilancio del governo Meloni per il 2026 è considerata relativamente austera, nel senso che predilige la tutela dei conti pubblici. I mercati stanno premiando questa scelta con lo spread crollato sotto i 70 punti e ai minimi dal 2009, mentre le agenzie di rating promuovono i BTp ormai da mesi. Secondo Palazzo Chigi, senza gli effetti deleteri del Superbonus sarebbe stato possibile spendere qualcosa in più su capitoli come la sanità.
Costo Superbonus, effetti su deficit
Qual è l’obiezione tecnica più rilevante del Movimento 5 Stelle? Questa narrazione sarebbe falsa, in quanto il Superbonus viene conteggiato solamente come debito e non (più) come deficit. E qui dobbiamo aprire una parentesi non breve. L’incentivo edilizio consistette nel godere di detrazioni per un importo pari al 110% del costo dei lavori di ristrutturazione sostenuti. Tali detrazioni potevano essere spalmate in cinque anni. Il successo della misura si ebbe, tuttavia, grazie allo sconto in fattura.
I proprietari delle case cedevano il credito alle imprese edili, le quali lo portavano subito a sconto in banca o lo mettevano nel cassetto fiscale per compensare le imposte nell’esercizio in corso e nei quattro successivi.
Il costo del Superbonus non è certo. Esso ammonterebbe a 128 miliardi di euro, ma ci sono stime per le quali arriverebbe fino a 200 miliardi. In ogni caso, altissimo e a beneficio di meno di un ventesimo del patrimonio abitativo italiano. Tralasciamo gli effetti inflattivi che la misura continua ad avere sui costi di ristrutturazione. Dal punto di vista contabile, questa enorme spesa è stata conteggiata come deficit per gli esercizi in cui sono sorti i crediti, cioè quando sono partiti i lavori. E’ stata una scelta di Eurostat, che ha consentito al governo Meloni di respirare.
Stop a sconto in fattura e detrazioni inferiori
Se tale spesa fosse stata conteggiata come deficit per gli esercizi in cui sarebbe stata effettivamente portata in detrazione, i conti pubblici sarebbero risultati più in rosso per decine di miliardi all’anno anche dopo il 2023. Sembrerebbe, quindi, che il Movimento 5 Stelle abbia ragione nell’eccepire al governo che il Superbonus non gli legherebbe le mani. A parte per il 2023, quando in conseguenza di tale scelta contabile il nostro deficit passò dal 4,5% programmato al 7,2% effettivo del Pil, il bilancio dello stato non avrebbe più risentito dell’aggravio lamentato dalla premier.
In realtà, le cose sono diverse da così. Il Superbonus è stato caricato tutto sugli esercizi dal 2020 al 2023, mentre i nuovi lavori avviati pesano ormai poco sui conti pubblici e i relativi costi vanno spalmati in cinque esercizi. Infatti, lo sconto in fattura è cessato dall’inizio dello scorso anno e la stessa percentuale detraibile è scesa fino al 65% per il 2025. I due principali fattori di successo della misura sono stati volutamente eliminati per dare un freno alla corsa della spesa di settimana in settimana. A parte il discorso sulle frodi, che meriterebbe un capitolo a sé.
Gettito fiscale ridotto
Ma il fatto che i bilanci non prendano più in considerazione tale aggravio di spesa, non significa che il costo del Superbonus abbia cessato di produrre i suoi effetti negativi sui saldi fiscali. Man mano che i contribuenti stanno fruendo delle detrazioni, il gettito per lo stato risulta inferiore a quanto sarebbe stato senza tale incentivo. Per il 2026, ad esempio, Meloni parla di minori incassi per 40 miliardi di euro. Come si rimedia? Emettendo più titoli del debito pubblico per soddisfare il fabbisogno di cassa. E questo crea pressione sui rendimenti dei BTp. Se lo stato aumentasse spese come sanità e scuola, la pressione sarebbe ancora più alta e probabilmente lo spread risalirebbe in fretta.
Più interessi sul debito pubblico
Senza dimenticare un altro dato: che siano 130, 150 o 200 miliardi, le spese per il Superbonus hanno generato certamente maggiore debito pubblico. E questo va onorato pagandoci sopra gli interessi. Ai rendimenti medi all’emissione attuali, parliamo di 3-5 miliardi netti all’anno in più. Poiché il debito si rinnova ad ogni scadenza, il dato tenderà a crescere all’infinito. A questi livelli di rendimenti, in 20 anni avremo speso un’ottantina di miliardi e in 30 anni sui 120 miliardi. Per uno stato con bassi margini di manovra come il nostro, a causa dell’elevato indebitamento, ogni euro in più di spesa per interessi equivale a un euro in meno di spesa per voci più proficue.
In altri termini, dire che il costo del Superbonus non impatti sul bilancio dello stato, significa non capirci molto né di finanza pubblica e né di economia in generale.
Che la misura abbia potuto contribuire alla crescita del Pil, è certamente vero. Il guaio è che ciò è avvenuto a debito e in cambio di risultati di breve periodo. Non c’è stato alcuno stimolo strutturale, anzi la capacità produttiva nel settore delle costruzioni è rimasta quasi invariata e ad essere lievitati sono stati i prezzi. Tra il 2020 e il 2023, il costo medio delle costruzioni in Italia è salito del 18,7% contro un’inflazione generale del 16%. Guarda caso, i prezzi si sono stabilizzati nel 2024 senza più lo sconto in fattura.
Costo Superbonus ben sopra stime iniziali
Non sarebbe stato meglio investire in infrastrutture, che tipicamente accrescono la capacità produttiva di un’economia nel medio-lungo periodo? Gli effetti per la crescita sarebbero stati forse inizialmente meno eclatanti, ma duraturi. Da notare, infine, che il costo del Superbonus fu stimato nel 2020 a 35 miliardi, mentre nella migliore delle ipotesi risulterà di oltre 90 miliardi più alto. Quanti ospedali e scuole avremmo potuto rifare a nuovo con queste cifre?
giuseppe.timpone@investireoggi.it


