Quando meno della metà degli elettori si reca ormai stabilmente ai seggi per votare, si parla forse non senza ragioni di allarme democratico. I risultati sono perfettamente validi, ma il tasso di rappresentatività delle istituzione ne soffre. La scarsa affluenza al voto è stata confermata anche alle elezioni regionali in Veneto, Campania e Puglia. A fare il proprio dovere appena il 43,64% contro il 57,60% di cinque anni prima nelle stesse regioni. Avrà influito certamente l’esito scontato delle corse a governatore. Anche le pietre sapevano che Alberto Stefani avrebbe stravinto in Veneto, Roberto Fico in Campania e Luigi Decaro in Puglia. E così è stato.
Cittadini sfiduciati e candidati scarsi
Resta il fatto che la tendenza sia ormai in atto da anni dappertutto, anche quando l’esito è apertissimo. Cosa succede? Semplice: i cittadini italiani sono scontenti della qualità dei candidati ad ogni livello. Cosa anche peggiore, non credono più a cambiamenti tangibili a seconda di chi vinca. Quando tutte le vere leve della politica economica (e non solo) sono state trasferite in capo a soggetti non eletti e lontani (Commissione europea), ci stupiamo che i cittadini disertino l’appuntamento con le urne?
Ci siamo quasi sempre soffermati sulle cause della scarsa affluenza, non sulle conseguenze. Quando a votare sono sempre meno persone, significa che a decidere le sorti della Nazione è una esigua minoranza. E non è detto che si rechi ai seggi per dovere civico. Dietro possono esserci motivazioni legittime, anche se molto di parte. Il partito o candidato X ha promesso un sussidio o un qualche altro tipo di beneficio? Vado a votare per garantirmelo.
A stare a casa sono coloro che non intravedono grosse speranze di cambiamento, cioè una fetta sempre più ampia dello stesso ceto medio.
Scarsa affluenza amplifica interessi di pochi
Ed è così che la scarsa affluenza rischia di impattare negativamente su conti pubblici ed economia. Se votano quasi solo i portatori di interessi particolari, gli eletti risponderanno a loro. Impossibile immaginare di tagliare sacche di spesa pubblica improduttiva, di liberalizzare alcuni mercati chiusi alla concorrenza e di varare politiche lungimiranti. Le elezioni diventano un momento di ufficializzazione del “do ut des”: ti do questo in cambio del voto. I corporativismi anche più esasperati hanno la meglio, così come anche l’assistenzialismo spinto. L’economia si pianta, lo scetticismo avanza e il ceto medio diventa una minoranza spettatrice passiva delle preferenze di un’altra minoranza capace di mobilitarsi.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
