I media internazionali davano per spacciato il presidente Javier Milei alle elezioni legislative di domenica scorsa, alle quali ha riscosso una vittoria storica. Giudicare i cambiamenti in Argentina da migliaia di chilometri di distanza non è facile, come non lo è per qualunque Paese. Se poi li si guardano con le lenti dell’ideologia, diventa ancora più complicato. Si diceva che i drastici tagli al bilancio avessero indisposto gran parte della popolazione, nel frattempo diventata più povera. I dati raccontano il contrario: la povertà in Argentina è diminuita di pari passo all’assistenzialismo di stato.
Con vittoria di Milei inflazione e deficit sradicati
I successi più grandi finora riportati da quasi due anni di amministrazione Milei dalla vittoria del 2023 sono due: inflazione e deficit.
La prima è crollata da una tendenza mensile del 25% al 2%. Il secondo è stato azzerato e, anzi, i conti pubblici si sono chiusi in attivo già nel 2024. Le due cose sono interconnesse: l’Argentina spendeva più di quanto incassava con le entrate fiscali e finanziava l’eccesso di spesa emettendo moneta. Questa a sua volta alimentava la crescita dei prezzi.
Argentina distrutta dall’assistenzialismo
A cosa era dovuto questo eccesso di spesa pubblica? All’assistenzialismo. Il peronismo in salsa kirchneriana è stato preponderante negli ultimi decenni. Esso è stato impostato su una sorta di clientelismo non dissimile da quello che dilagò in Italia negli anni Settanta e Ottanta. La pace sociale è stata ricercata non generando crescita, bensì redistribuendo risorse sempre più scarse. I soli sussidi legati alle bollette dell’energia sono arrivati ad incidere fino al 3% del Pil. Prima della vittoria di Milei, incidevano per l’1,6% o 12 miliardi di dollari. L’anno scorso erano già stati tagliati allo 0,9% e quest’anno dovrebbero scendere ancora.
La lotta all’assistenzialismo non è di solito popolare. Significa tagliare redditi e rendite sui quali vivacchia parte della popolazione. Ecco perché dopo la vittoria di Milei di due anni fa c’era molto scetticismo riguardo alla capacità di perseguire i propositi elettorali. A maggior ragione che il suo partito La Libertad Avanza era ultra-minoritario al Congresso. Invece, proprio l’essere fuori dall’establishment ha funto da molla per implementare le promesse senza temere ripercussioni sui pochi seggi posseduti.
Riforme da completare
Gli argentini hanno capito il senso dei sacrifici loro richiesti. Hanno visto salire il costo delle bollette e in 50.000 hanno perso il posto pubblico, mentre i cantieri avviati dallo stato si sono fermati. Tutto questo è stato necessario per rimettere ordine nell’economia argentina. L’assistenzialismo ha portato le finanze pubbliche al collasso e le famiglie alla fame a causa dell’inflazione a tre cifre. Più nel profondo ha spinto milioni di cittadini ad adagiarsi sui sussidi per vivere, anziché cercare di migliorarsi.
Resta tanto da favore. Tasse, lavoro, pensioni e regolamentazione necessitano di profonde riforme. Tutto il sistema statale in Argentina mira a disincentivare la produzione di ricchezza. Assumere e licenziare è complicato, le imposte sono alte e numerose, il costo delle pensioni elevato e troppa burocrazia limita la libertà d’impresa e la concorrenza. La vittoria di Milei di domenica scorsa può agevolare il completamento delle riforme, costruendo le basi affinché l’economia possa tornare a camminare e prosperare.
Vittoria di Milei fine del peronismo
Anziché lagnarsi delle difficoltà, gli argentini hanno inviato un messaggio al sistema politico: non vogliono più tornare indietro. Hanno bocciato l’idea di società dei peronisti ancora incarnata da Cristina Fernandez de Kirchner, agli arresti domiciliari per corruzione, e dal suo pupillo e governatore di Buenos Aires, Axel Kicillof. Per troppi anni l’assistenzialismo aveva reso la maggioranza dei cittadini schiava di diritti e capricci di una minoranza spesso di nullafacenti. Tutto ciò ha distrutto l’economia, diventata zimbello del mondo tra un default e l’altro. Con la terza sconfitta consecutiva dei peronisti, la maggioranza silenziosa ha confermato il suo “nunca mas”.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

