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Oggi: 05 Dic, 2025

Caro ministro Salvini, le banche non sono il bancomat di stato

Il vicepremier Matteo Salvini chiede alle banche di non lamentarsi, minacciando altrimenti di aumentare il contributo a loro carico.
1 mese fa
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Il contributo alle banche come bancomat di stato
Il contributo alle banche come bancomat di stato © Licenza Creative Commons

Non passa anno senza che si senta discutere di necessità di caricare le banche di un ennesimo balzello per contribuire alle spese dello stato. All’inizio ci pensò l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a tartassare gli istituti di credito. Il piatto piange sempre e in un qualche modo bisogna riempirlo per soddisfare le richieste chilometriche delle decine di categorie sociali. Il salto di qualità nel dibattito è avvenuto con la crisi dell’energia. L’inflazione è salita alle stelle insieme ai tassi di interesse, le banche ne hanno potuto approfittare per registrare profitti record e gran parte del sistema politico ha reclamato che pagassero di più allo stato.

Banche nel mirino di Salvini

Era l’estate del 2023 e in vista della vera prima legge di Bilancio interamente redatta dal governo Meloni, il ministro Giorgetti lancia la bomba: tassa sugli extraprofitti. Le azioni delle banche italiane crollano in borsa, c’è tumulto sui mercati e alla fine non se ne fa niente. La maggioranza di centro-destra ripiega sull’obbligo di accantonare a riserva un importo pari a 2,5 volte l’importo da versare altrimenti al fisco. Nessuno paga di più, mentre s’irrobustisce per tutte la patrimonializzazione.

L’anno scorso la Lega di Matteo Salvini ci riprova. E anche questa volta una vera e propria tassa non viene introdotta, mentre si arriva ad un accordo con le banche: rinvio delle detrazioni fiscali sulle cosiddette DTA. Un anticipo di liquidità per lo stato di 4 miliardi in due anni. E arriviamo all’attuale legge di Bilancio: 11 miliardi in tre anni da banche e assicurazioni.

Come? Per sbloccare le riserve sopra citate, dovranno versare al fisco un’aliquota del 27,5%, che salirà al 33% dal 2027. E pagheranno anche un’IRAP più alta.

Entrate fiscali già alte

Il vicepremier leghista non è contento. E mentre il suo partito in Parlamento si appresta a chiedere che le banche aumentino di un ulteriore miliardo il contributo, egli sbrocca: “se si lamentano, aumenteremo loro il contributo da versare”. A suo dire, non avrebbero motivo di lamentarsi dopo avere maturato “utili per 50 miliardi di euro” lo scorso anno. Parole rivelatrici di un modo di intendere le relazioni con un settore dell’economia italiana.

Per Salvini le banche devono contribuire di più in questa fase a mantenere scuola, sanità e pensioni. Insomma, i servizi. Sembrerebbe che l’Italia fosse a corto di entrate. Invece, scopriamo che queste siano state superiori al 47% del Pil nel 2024. E’ semmai lo stato che non lesina sulle spese. Superano la metà del Pil. Premesso questo dato, emerge un problema di approccio. Le banche sono aziende come tutte le altre. Il loro core business consiste nel prestare denaro a chi ne ha bisogno (imprese e famiglie), prendendolo da chi ne ha in eccesso (risparmiatori).

In calo prestiti al settore privato

In un sistema economico solido le banche svolgono un ruolo prezioso, quello di consentire gli investimenti e gli acquisti di beni durevoli.

In Europa, l’economia è “bancocentrica” e questo non va molto bene. Negli Stati Uniti, invece, le imprese fanno maggiore ricorso al mercato dei capitali per finanziarsi. Ma non è colpendo le banche sul piano fiscale che possiamo tendere verso un sistema più equilibrato come quello americano. Nel nostro Paese, tuttavia, un problema esiste e riguarda il credito calante al settore privato.

Le banche erano solite prestare anche il 120% della liquidità raccolta tra i clienti fino alla crisi del debito nel 2011. Ancora prima della pandemia prestavano attorno al 100%. Adesso, meno dell’80%. I prestiti incidono ormai per poco più dei due terzi del Pil contro l’85% nell’anno della pandemia. Sono questi gli aspetti su cui concentrarsi per capire come possano gli istituti di credito contribuire maggiormente allo sviluppo della nostra economia.

Banche come bancomat di stato

Invece, si sta preferendo la polemica spicciola su un tema che può anche strappare applausi tra i cittadini-elettori, ma che non risolve alcunché. Banche come bancomat di stato non va per niente bene. Si dà la sensazione di una considerazione quasi di pura sopportazione per un settore vitale per la crescita. Gli utili non sono mai “eccessivi” – chiunque li faccia – semplicemente perché non esiste un parametro oggettivo per stabilire a quanto dovrebbero ammontare. Anzi, in questi anni segnalano la solidità di fondo di un comparto che fece tremare l’intera Europa nel decennio scorso.

Il vicepremier Salvini sostiene che chiedere un contributo straordinario alle banche non sia “lesa maestà”. Concordiamo, a patto che il discorso riguardi tutti e che sia davvero un’eccezione alla regola. Al contrario, questo è il terzo anno consecutivo che ci ritroviamo a parlare di “tasse sugli extraprofitti”. Quando non si hanno idee sulle coperture per questa o quella misura, spunta la solita tiritera estiva sulle banche. Non sono un bancomat di stato. Sarebbe molto meglio profondere gli sforzi per capire come rilanciare il credito al settore privato, che sarebbe sì un volano per l’economia e le stesse entrate fiscali.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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