C’è un’importante novità contenuta nella legge di Bilancio approvata dal Consiglio dei ministri del 17 ottobre. Riguarda gli affitti brevi, così definite le locazioni di immobili per periodi non eccedenti i 30 giorni. La cedolare secca applicata sui canoni sale al 26% per tutti gli immobili. Da quest’anno, era rimasta al 21% per il primo immobile e saliva al 26% dal secondo immobile in avanti. Una stangata che riguarderà centinaia di migliaia di famiglie. Al termine dello scorso anno risultavano adibiti ad affitti brevi 496.000 immobili pubblicizzati sulle piattaforme online, sebbene considerando quelle non pubblicizzate in rete il conto sarebbe salito a circa 700.000.
Cedolare secca nel mirino del governo
La legge di Bilancio per il 2026 prevede misure per 18,7 miliardi di euro ed è stata varata in un clima inconsuetamente tranquillo per l’Italia, promossa da mercati e agenzie di rating. Venerdì scorso, la canadese DBRS Morningstar ri-assegnava ai titoli del nostro debito pubblico il giudizio A(low) sulla credibilità del governo (stabile) in tema di risanamento fiscale.
Il governo di Giorgia Meloni ha presentato un piano di riduzione delle imposte a carico del ceto medio con le dovute coperture finanziarie. E gli affitti brevi sono finiti nel mirino per più di una ragione. La cedolare secca al 21% è più bassa della prima aliquota IRPEF del 23% sui redditi fino a 28.000 euro all’anno, nonché dell’imposta sui redditi di natura finanziaria al 26%. Molti osservatori hanno notato negli ultimi anni che essa avrebbe incentivato le rendite.
Boom del turismo anche grazie agli affitti brevi
In realtà, la cedolare secca ha avuto l’enorme merito di mettere a reddito parte del patrimonio immobiliare fino a pochi anni fa abbandonato a sé stesso.
Ciò ha contribuito al boom del turismo italiano, calmierando i prezzi degli alberghi altrimenti insostenibili per molti stranieri e connazionali stessi. I critici eccepiscono, però, che molti immobili sarebbero stati sottratti al mercato delle locazioni a lungo termine, innescando aumenti dei canoni per le famiglie.
La verità sembra molto diversa. In Italia risultano esistere 9,6 milioni di seconde case sfitte. Solo una minima parte finisce sul mercato degli affitti brevi. E questo malgrado la cedolare secca sulle locazioni a lungo termine fissata al 21%. Cosa non funziona? I proprietari hanno paura della scarsa tutela dei loro diritti nei confronti degli inquilini morosi. Sanno che potrebbero passare anni prima di vedere l’immobile sgombrato e nel frattempo non beccano un solo quattrino. Viceversa, devono continuare a pagare le imposte allo stato.
Leggi più favorevoli ai proprietari di case
Di recente, la legislazione in materia è cambiata proprio su questi punti. Sono state velocizzate le procedure per sgomberare gli immobili occupati e incrementate le tutele per i proprietari. Ma sappiamo che il problema delle leggi in Italia è che restano spesso sulla carta. Prima vedere cammello. La cedolare secca al 26% su tutti gli immobili adibiti agli affitti brevi resta nel confronto internazionale una tassazione relativamente leggera. Non per questo il suo innalzamento è stato giusto.
L’aliquota grava sui ricavi, non sui profitti.
La base imponibile include il più delle volte le salatissime commissioni pagate dal proprietario alle piattaforme web come Airbnb e Bookings. Non è ammessa la detrazione dei costi sostenuti come le pulizie, il cambio della biancheria e la somministrazione della colazione preconfezionata. Tant’è che molti proprietari ormai fanno pagare come voce a parte la luce per evitare di rimetterci. Quindi, la cedolare secca al 26% non significa che al titolare dell’immobile resti il 74% di margine. Siamo in media ben sotto il 50%.
Cedolare secca su affitti brevi, grosso giro d’affari
Gli affitti brevi hanno generato nel 2024 un giro d’affari stimato in 66 miliardi, esattamente il 3% del Pil. Di questi, 13 sono arrivati dalle prenotazioni, 52 dall’indotto e 1 dalle ristrutturazioni degli immobili. Grazie alla tassazione di favore abbiamo assistito a una crescente valorizzazione di immobili spesso fatiscenti e nei centri cittadini. Le economie locali si sono vivacizzate e non a discapito del popolo degli inquilini. In realtà dai canoni proibitivi come Milano le seconde case non mancano, semplicemente restano sfitte. Erano 100.000 un anno fa. A conferma che la cedolare secca sugli affitti brevi non c’entri un fico secco con il problema.
giuseppe.timpone@investireoggi.it