Le borse hanno tremato all’inizio di questa settimana quando il presidente americano Donald Trump ha prospettato una nuova fase di scontro economico con la Cina. Le tensioni si sono parzialmente stemperate, ma la temperatura resta alta tra le prime due economie mondiali. E nel mezzo sta l’Europa, che sta cercando disperatamente di limitare i danni della guerra commerciale, la quale sta assumendo sempre più le caratteristiche di una guerra valutaria. Basta guardare allo yuan per capire che a Pechino c’è in corso una svalutazione del cambio.
Svalutazione del cambio cinese da febbraio
Lo yuan perde l’11% dai massimi di febbraio contro l’euro.
Allargando lo sguardo al medio-lungo periodo, notiamo che negli ultimi cinque anni si è deprezzato del 5,5%. Sembra poco, eppure non lo è considerando i diversi dati sull’inflazione. Questa è stata inferiore al 3% nel quinquennio considerato, mentre nell’Eurozona è esplosa al 23,3%. In teoria, la valuta cinese si sarebbe dovuta apprezzare contro la moneta unica di oltre il 20%.
Deficit USA con Cina crolla
Questa svalutazione del cambio sembra una strategia delle autorità cinesi per ravvivare l’economia. A settembre l’inflazione è stata negativa dello 0,3% annuale, sesto calo tendenziale in otto mesi. A Pechino tira aria di deflazione per via dei bassi consumi interni e della frenata dell’economia mondiale. E ci sono i dazi di Trump a rompere le uova nel paniere. Annunciati agli inizi di aprile, per le esportazioni cinesi sono una mazzata. Alcuni dati sono agghiaccianti: in media la tariffa media negli USA sulle importazioni di beni cinesi oscillava tra 0 e 5% nel 2018, mentre saliva già al 20% nel 2021.
Al 25 settembre scorso risultava del 58%.
I risultati si stanno già vedendo. Nei primi sette mesi dell’anno gli Stati Uniti hanno registrato un deficit commerciale di 128,58 miliardi di dollari con la Cina. Su base annuale è un crollo del 18,3%, mentre in valore assoluto è di -28,75 miliardi. Ma dopo il mese di aprile, il disavanzo si è quasi dimezzato (-47%). Per l’economia cinese i dazi americani sono un grosso pericolo. L’intero avanzo con gli States fu di oltre 295 miliardi nel 2024, incidendo per l’1,6% del Pil ed un terzo della crescita ufficiale complessiva. Un dimezzamento porterebbe a un freno della crescita a ridosso del 4%.
Dirottamento dell’export cinese in Europa
Il mercato interno non è nelle condizioni di assorbire una maggiore offerta di beni. La variazione negativa dei prezzi al consumo è sintomatica proprio di un eccesso di produzione per effetto dei bassi consumi delle famiglie. Questi restano ben sotto il 40% del Pil contro il 70% negli USA e il 52% nell’Unione Europea. Ed ecco sorgere la necessità di dirottare altrove le merci invendute. Quale migliore alternative dell’Europa, mercato ricco e con preferenze dei consumatori simili a quelle degli americani?
Per esportare di più nel Vecchio Continente serve guadagnare competitività attraverso la svalutazione del cambio. Questa a sua volta rappresenta una mossa per impedire che l’economia scivoli definitivamente nella deflazione. La Banca Popolare Cinese si sta muovendo in questi anni tagliando i tassi di interesse (al 3% il Loan Prime Rate) e il coefficiente di riserva obbligatoria per le grandi banche dall’11% al 7,5%.
Quest’ultima misura sostiene il credito al settore privato, liberando liquidità a disposizione di imprese e famiglie.
Industria europea già in panne
Per l’Europa la svalutazione del cambio cinese è una minaccia alla propria industria, già in panne tra caro energia, Green Deal e restrizioni commerciali globali. Nel breve termine, potrà servire a calmierare l’inflazione e centrare più agevolmente l’agognata stabilità dei prezzi. La Banca Centrale Europea (BCE) potrebbe finanche trovare qualche altro margine per tagliare ulteriormente i tassi. Tuttavia, sarebbe un beneficio effimero e conseguente a una devastazione per le imprese locali.
La domanda delle domande è cosa farà l’Europa. Bruxelles sta unendosi all’amministrazione americana nell’imporre maggiori barriere all’ingresso per i prodotti cinesi. Da pochi giorni la proposta della Commissione per raddoppiare i dazi sull’acciaio. Ma se l’euro si rafforza contro le altre valute, nel complesso la nostra economia perde competitività. Partecipare alla guerra valutaria sarebbe una risposta potenzialmente più efficace, ma rischiosa. La Cina può permettersi la svalutazione del cambio per via dell’inflazione sottozero. La BCE non dispone di tali margini, anzi l’inflazione resta nell’area sopra il tasso obiettivo del 2%.
Svalutazione del cambio opzione rischiosa
Tagliare i tassi deprezzerebbe l’euro, cosa che aiuterebbe le imprese esportatrici. D’altra parte, sosterrebbe i consumi e non è detto che a beneficiarne sarebbero le produzioni continentali. Inoltre, l’amministrazione Trump vedrebbe di cattivo occhio questa reazione di Francoforte, una sfida al made in USA. Potrebbe controbattere minacciando ulteriori dazi e rinfocolando le tensioni commerciali. Per il momento a Bruxelles manca del tutto una visione, oltre che una strategia su cosa fare nel nuovo ordine mondiale che avanza.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

