Quando si parla di pensioni, i requisiti per uscire dal lavoro sono importanti tanto quanto le regole di calcolo dei trattamenti. Conta quando si andrà in pensione, ma anche quanto si percepirà una volta usciti dal lavoro.
Tra le misure più utilizzate dai contribuenti per il pensionamento anticipato c’è senza dubbio l’Ape sociale. I requisiti anagrafici e contributivi sono nettamente più favorevoli rispetto alle pensioni ordinarie, ma sono proprio le regole di calcolo della prestazione a lasciare perplessi. L’Ape sociale, infatti, è una misura con particolarità specifiche che meritano di essere approfondite.
Quanto vale una pensione con 30 anni di contributi e perché c’è il vincolo di 1.500 euro al mese
Come si accede all’Ape sociale è ormai cosa nota.
L’Ape, acronimo di Anticipo Pensionistico, è una misura che si rivolge solo a una platea selezionata di lavoratori. Parliamo di soggetti che presentano problematiche lavorative, reddituali, familiari o fisiche.
Le categorie ammesse sono:
- invalidi;
- caregiver;
- addetti ai lavori gravosi;
- disoccupati.
Solo chi rientra in queste categorie può usufruire dell’Ape sociale.
Per accedervi occorre avere almeno 63 anni e 5 mesi di età e una carriera contributiva compresa tra 30 e 36 anni, in base alla categoria di appartenenza.
Sul fronte economico, però, le regole di calcolo sono uguali per tutti: non ci sono differenze tra le categorie. E proprio qui risiede una delle criticità principali della misura.
Ape sociale per i disoccupati, ecco come funziona
L’Ape sociale per i disoccupati è rivolta a chi ha perso il lavoro in modo involontario. Sono quindi esclusi coloro che si sono dimessi volontariamente, salvo che per giusta causa.
Il motivo di questa distinzione è chiaro: per poter accedere all’Ape sociale bisogna aver terminato di percepire la Naspi, che spetta solo a chi è stato licenziato o ha avuto un contratto scaduto.
Chi, invece, si dimette senza giusta causa, non ha diritto alla Naspi e, di conseguenza, non può accedere all’Ape sociale.
In sintesi, l’Ape sociale per disoccupati è una forma di pensionamento che segue la fine della Naspi.
Possono ottenerla coloro che abbiano almeno 63 anni e 5 mesi di età e non meno di 30 anni di contributi.
Dai caregiver agli invalidi: quanto vale e come si prende la pensione con l’Ape sociale
Altre due categorie che possono accedere all’Ape sociale sono gli invalidi e i caregivers.
Gli invalidi sono coloro che presentano menomazioni fisiche o psichiche con un grado di invalidità pari o superiore al 74%. Anche per loro valgono i requisiti di 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contributi.
I caregivers, invece, sono persone che assistono familiari disabili. Devono avere anch’essi almeno 30 anni di versamenti e 63 anni e 5 mesi d’età.
È fondamentale, per rientrare nella categoria, la convivenza con il familiare disabile. Quest’ultimo può essere il coniuge, un parente di primo grado, oppure un parente o affine di secondo grado, purché non ci siano altri familiari stretti (come genitori o coniuge) in grado di fornire assistenza.
La convivenza deve durare da almeno sei mesi e significa residenza nella stessa abitazione, con identico numero civico e, al massimo, un interno diverso.
Il lavoro gravoso per l’Ape sociale
Chi si chiede quanto vale la pensione con l’Ape sociale deve sapere che tutto parte, come sempre, dai contributi versati.
Per disoccupati, invalidi e caregiver bastano 30 anni di contributi, mentre per gli addetti ai lavori gravosi ne servono almeno 36. L’età minima resta comunque di 63 anni e 5 mesi.
Le attività considerate “gravose” sono 15 e comprendono, tra le altre, edili, infermieri, camionisti, facchini e altre professioni a elevato impegno fisico.
Per rientrare nella categoria, è necessario aver svolto il lavoro gravoso per almeno 7 degli ultimi 10 anni oppure in 6 degli ultimi 7.
Pensione con 30 o 36 anni di contributi: con l’Ape sociale massimo 1.500 euro al mese
Arriviamo dunque alla domanda centrale: quanto vale la pensione con 30 o 36 anni di contributi attraverso l’Ape sociale?
L’importo della misura è particolare. Pur basandosi sui contributi effettivamente versati, la legge prevede un tetto massimo di 1.500 euro lordi al mese, non superabile in alcun caso.
Inoltre, l’Ape sociale non è indicizzata all’inflazione, non prevede la tredicesima, non include le maggiorazioni sociali né i trattamenti di famiglia.
Non è reversibile ai superstiti e non è cumulabile con altri redditi da lavoro, sia subordinato sia autonomo.
L’unica eccezione riguarda il lavoro autonomo occasionale, consentito entro il limite di 5.000 euro annui.
In conclusione, l’Ape sociale resta una via di uscita anticipata agevolata ma con limiti economici stringenti: una misura utile, sì, ma non sempre conveniente per chi ha una carriera lunga o una retribuzione elevata.