Dal momento che vengono varate sempre più spesso misure che favoriscono chi resta a lavorare anche dopo aver maturato il diritto alla pensione – con premi autentici per chi rimane in servizio – una domanda sorge spontanea: conviene davvero rinviare l’uscita o è meglio andare in pensione subito?
La risposta non è affatto semplice, perché dipende dalle condizioni di ciascun lavoratore: salute, situazione lavorativa, famigliare e personale. Sono sempre di più i contribuenti che scrivono in redazione per avere chiarimenti su quella che, a tutti gli effetti, è una scelta di vita. Cosa conviene fare, quindi, quando si arriva a 67 anni di età, l’età fissata come quella pensionabile?
Incentivi a posticipare l’uscita, ecco perché sono allettanti
Oggi chi raggiunge i requisiti per la pensione anticipata ordinaria può decidere di restare a lavorare, così come chi centra i requisiti della Quota 103.
In realtà, tutti possono rinviare l’uscita, a prescindere dalla misura di pensionamento.
Quota 103 e pensione anticipata ordinaria hanno però un tratto in comune: entrambe rientrano nel bonus Giorgetti, una misura che richiama il vecchio bonus Maroni, e che concede un surplus di stipendio a chi rinvia la pensione.
In pratica:
se hai raggiunto i 41 anni di contributi e i 62 anni di età della Quota 103, oppure i 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) della pensione anticipata, puoi chiedere all’INPS di attivare il bonus.
Il vantaggio consiste nel fatto che la quota di contribuzione a carico del lavoratore resta in busta paga come netto aggiuntivo, pari al 9,19% in più ogni mese fino al momento del pensionamento.
Perché a volte conviene rimandare la pensione anche a 67 anni
Questo sistema potrebbe preludere a una futura estensione dei bonus anche a chi compie 67 anni di età e ha diritto alla pensione di vecchiaia.
Per ora si tratta di un’ipotesi, ma già oggi non è obbligatorio lasciare il lavoro al compimento dei 67 anni.
Anzi, spesso la scelta di restare al lavoro porta a una pensione più alta, perché si continuano a versare contributi. Nel sistema contributivo, ogni versamento va ad alimentare il proprio “salvadanaio previdenziale”, che viene poi trasformato in rendita mensile.
Il meccanismo funziona così:
- i contributi vengono rivalutati in base all’inflazione;
- la somma finale è moltiplicata per i coefficienti di trasformazione, che aumentano con l’età.
Di conseguenza, più tardi si va in pensione, più alta sarà la rendita.
Pensione a 67 anni o rimandare? Ecco come fare la scelta giusta
I coefficienti di trasformazione sono quindi un vantaggio importante per chi rinvia l’uscita. Più elevata è l’età di pensionamento, più favorevole sarà il calcolo dell’importo.
Tuttavia, ciò vale soprattutto per il sistema contributivo. Nel sistema retributivo, la situazione è diversa: il calcolo si basa sulle ultime annualità di stipendio. Se, dopo i 67 anni, la retribuzione dovesse calare, la quota di pensione calcolata con il metodo retributivo potrebbe risultare penalizzata.
Questo rischio non riguarda chi ha iniziato a versare dopo il 1° gennaio 1996, perché rientra nel solo sistema contributivo.
Diverso il caso di chi ha versato contributi prima di tale data:
- chi al 31 dicembre 1995 aveva già 18 anni di versamenti, si vede applicare il calcolo retributivo fino al 31 dicembre 2011;
- chi invece non raggiungeva i 18 anni a quella data, ha una quota di pensione calcolata con il retributivo solo fino al 1995.
In sintesi: per i lavoratori nel sistema contributivo puro, rimandare conviene quasi sempre; per chi è nel misto, invece, la scelta richiede più attenzione.
