Si riunisce oggi e domani la Banca del Giappone, chiamata anch’essa a pronunciarsi sui tassi di interesse. L’evento arriva a poche ore dalla conclusione del board alla Federal Reserve, che ha optato per un taglio dello 0,25%. Per Tokyo si tratta di una buona notizia, seppure scontata. L’istituto guidato dal governatore Kazuo Ueda affronta da tempo una situazione ancora più difficile del proprio collega americano Jerome Powell. A luglio, l’inflazione nipponica era ancora al 3,1%, pur in calo dall’apice del 4% di gennaio. Il costo del denaro, invece, resta inchiodato allo 0,5%. In termini reali, quindi, i tassi risultano estremamente negativi.
Yen debole con tassi in Giappone ancora azzerati
A fare le spese di questo accomodamento è il tasso di cambio. Lo yen perde contro il dollaro il 29% in cinque anni, ma è arrivato a scambiare ai livelli più deboli dal 1998 in questi anni. A sua volta, il cambio debole aumenta i costi delle importazioni e genera inflazione. Alla Banca del Giappone conviene se le altre banche centrali tagliano i tassi, così da ridurre le distanze e la pressione sul cambio.
Tuttavia, i rendimenti sovrani sono esplosi rispetto ai livelli infimi del recente passato. Il trentennale ha registrato il record di quasi il 3,30% a inizio mese, mentre il decennale si è portato all’1,60%. Un grosso problema per il governo, costretto a fare i conti con una crescente spesa per interessi su un debito pubblico mastodontico. Questo vale più del 2,50% del Pil.
Repressione finanziaria per salvare i conti pubblici
L’unica vera nota positiva del Giappone consiste nel trovarsi una posizione finanziaria netta con l’estero estremamente positiva.
Una rassicurazione per il mercato, perché il rimpatrio dei capitali permette il calmieramento dei rendimenti. Un nuovo rialzo dei tassi in Giappone arriverebbe non prima del board di ottobre. E questo dovrebbe farci riflettere. La banca centrale non sembra più al servizio dei cittadini nella lotta all’inflazione, bensì dello stato per tenere a bada il debito.
In gergo, si definisce repressione finanziaria. E’ quel fenomeno consistente nel comprimere i rendimenti, scaricando sugli investitori l’onere del salvataggio dei conti pubblici. E le cose potrebbero mettersi ancora peggio. Anche a Tokyo c’è instabilità politica, similmente alla Francia e al Regno Unito. Tra un paio di settimane ci sarà la nomina del terzo premier in appena un anno. Sarà il vincitore delle primarie del Partito Liberal Democratico. Il premier uscente Shigeru Ishiba si è dimesso, assumendosi la responsabilità della sconfitta alle elezioni del Senato a luglio.
Fattore Takaichi
Il partito conservatore che guida il Sol Levante da decenni è rimasto senza maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. Tra i candidati alla successione c’è Sanae Takaichi, una parlamentare di destra che punta a diventare la prima premier donna del Paese. E’ considerata una “colomba”, in quanto propone una politica fiscale e monetaria accomodante. In pratica, sotto di lei il Giappone avrebbe ancora più spesa pubblica in deficit e tassi bassi.
Stando ai sondaggi, la donna si contende la leadership con il ministro per l’Agricoltura, Shinjiro Koizumi. Cosa accadrebbe se vincesse? La politica fiscale del governo sarebbe all’insegna del deficit spending. A quel punto, la Banca del Giappone avrebbe due alternative: proseguire per la propria strada, alzando i tassi per contrastare l’inflazione; diventare accomodante e tenere i tassi bassi. In entrambi i casi, lo scenario sarebbe negativo per i mercati. La scelta sarebbe tra crisi fiscale e inflazione fuori controllo. Il governo vedrebbe esplodere la spesa per interessi nel primo caso, mentre nel secondo a farne le spese sarebbe il potere di acquisto.
Tassi in Giappone problema globale
Uno scenario simil-britannico, ma aggravato da un debito di oltre due volte e mezzo più grande in rapporto al Pil. E l’esplosione dei rendimenti nipponici non resterebbe un problema confinato al Sol Levante. Data la rilevanza dei capitali che da Tokyo fluiscono nel resto del mondo, s’impennerebbero anche i rendimenti europei e nordamericani. L’unica speranza per Ueda sarebbe che nel frattempo la FED tagliasse i propri tassi al punto da sostenere il corso dello yen e disinflazionare l’economia del Giappone, consentendogli di tenere i tassi intorno ai livelli attuali. Ma il fattore Takaichi sarebbe in sé sufficiente a indebolire i bond, così come ha fatto il cancelliere Friedrich Merz con l’annuncio dell’allentamento fiscale nel marzo scorso.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

