Il declassamento del rating in Francia è stato uno scossone, per quanto previsto e ampiamente scontato dai mercati finanziari. L’agenzia Fitch ha tagliato il suo giudizio sugli Oat da AA- ad A+. Parigi si allontana ulteriormente dalla Germania e dagli altri (pochi) emittenti con rating tripla A. Rispetto a questi è scesa quattro gradini sotto. E come sempre capita quando si diventa percepiti come meno affidabili sul piano fiscale, il premio al rischio aumenta. Significa che un investitore pretende un rendimento più alto per acquistare un bond, anziché uno tedesco.
Premio al rischio negativo
Lo spread tra BTp e Oat a 10 anni è persino sceso per un brevissimo lasso di tempo sottozero nel corso della settimana passata.
Ieri, si attestava sui 3 punti base. Era a più di 80 punti fino al giugno del 2024. Il segno che il debito francese non venga più considerato maggiormente solido di quello italiano. La vera notizia degli ultimi giorni è che è sceso sottozero persino il premio al rischio su alcuni corporate bond.
Colossi internazionali francesi come L’Oreal, LVMH, Airbus e Axa hanno visto scendere i rendimenti sui loro bond a livelli inferiori di quelli esitati dagli Oat di pari durata. E questo è un fenomeno che tipicamente si riscontra presso le economie emergenti. A notarlo è stato Karsten Junis, capo economista della banca svizzera J Safra Sarasin. Il debito delle società private è considerato più rischioso di quello emesso dai governi. Questo vale perlomeno presso le ricche economie occidentali.
Sfiducia verso Parigi aumenta
In effetti, un governo dispone di strumenti più immediati e numerosi per onorare i suoi impegni con i creditori.
Può alzare le tasse, tagliare le spese, prendere a prestito denaro nei casi estremi dagli organismi internazionali. Dispone anche di una sorta di “moral suasion” per convincere gli investitori istituzionali a comprare i suoi titoli di stato. Anzi, la regolamentazione finanziaria obbliga banche e fondi a prestare denaro allo stato per mantenere alta la qualità dei portafogli d’investimento.
Quando il premio al rischio a carico dei corporate bond si riduce, è espressione perlopiù di una congiuntura positiva. Se l’economia cresce e le cose vanno meglio, le aziende fatturano di più e posseggono maggiori mezzi per rimborsare i prestiti. Ma la discesa sottozero è un caso eccezionale, per non dire unico. In questo caso, più che essere espressione di fiducia verso certe grandi realtà industriali e finanziarie francesi, si cela la sfiducia verso Parigi come emittente sovrano.
Governi superati da multinazionali
Siamo un po’ al paradosso. I governi si sono svenati per decenni per salvare le banche e tenere in piedi le economie nazionali. Si sono indebitati per stimolare i consumi interni, così da favorire l’occupazione e la tenuta sociale, di riflesso i bilanci aziendali. E adesso vengono valutati meno affidabili di alcuni colossi che hanno beneficiato indirettamente di tali debiti. Come dire che aiuto un amico a pagare il mutuo, salvo scoprire che la banca gli stia ora prestando denaro a tassi più bassi di quanto non faccia con me.
Il caso francese non deve essere considerato isolato. Negli Stati Uniti, i colossi della Silicon Valley già godono di una percezione migliore del governo americano sui debiti. Il premio al rischio è in via di azzeramento per realtà come Microsoft. E dire che i Treasury godono degli acquisti globali degli investitori istituzionali, essendo assimilabili ai dollari. Al contrario, i corporate bond sono meno liquidi sui mercati e dovrebbero offrire un premio al rischio anche per questa ragione.
Premio al rischio sottozero segno dei tempi
La verità è anche che la finanza non è più ossequiosa verso gli stati come un tempo. Le sue dimensioni sono cresciute al punto da renderla un potere a sé e non alla mercé della politica. E i bilanci di certe multinazionali ammontano a centinaia di miliardi di dollari. Microsoft disponeva a fine giugno di quasi 95 miliardi di dollari di liquidità. Apple di oltre 55 miliardi e Meta di 47 miliardi. Queste aziende, come diverse altre, non solo fatturano una montagna di denaro, ma riescono anche a metterlo da parte per futuri investimenti e fronteggiare eventualmente critiche.
I governi non riescono più neanche a centrare il pareggio di bilancio nella migliore delle congiunture possibili. L’America naviga in buone acque dal punto di vista economico, ma ha un deficit fiscale vicino al 7%. Cosa accadrà quando andrà in recessione? Lo stesso dicasi di economie come la Francia. Se già con un Pil in leggera crescita non riesce ad abbassare il deficit dal 5,8% del 2024, figuriamoci se dovesse affrontare una crisi. L’azzeramento del premio al rischio per alcune multinazionali suggella la fine di un tempo, per cui la politica possedeva maggiore credibilità e per questo distribuiva le carte. I dati macro si commentano da sé. I debiti salgono senza limitazioni e i creditori non fanno più sconti.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
