Questa è stata la prima settimana di ritorno alle negoziazioni dopo il periodo estivo e le novità sul mercato obbligazionario sono state dirompenti. Dopo il clima semi-festivo di agosto, gli investitori hanno ripreso a rivendere a piene mani i bond a lunga scadenza. I rendimenti lunghi si sono impennati quasi ovunque e, in qualche caso, ai massimi da decenni. Ad esempio, il Treasury a 30 anni è arrivato al 5% e il Gilt di pari durata nel Regno Unito ha superato il 5,70%, dato massimo da inizio 1998. Anche nell’Eurozona le cose sono andate male. Da notare che il trentennale italiano ha offerto fino a quasi il 4,70% e quello francese più del 4,50%, mai così tanto dal 2009 nel secondo caso.
Occupazione più debole
Tuttavia, i rendimenti lunghi hanno chiuso l’ottava in deciso calo. Il BTp a 30 anni rendeva il 4,52% al termine della seduta di ieri e negli USA il trentennale è precipitato al 4,77%. E questo si deve in gran parte alla pubblicazione dei dati sull’occupazione proprio negli USA per il mese di agosto. Appena 22.000 posti di lavoro creati contro un’attesa di 75.000. Per luglio c’è stata una revisione al rialzo di 6.000 unità a 79.000, ma a giugno al ribasso di 27.000, portando il dato finale a -13.000.
Il tasso di disoccupazione è salito al 4,3%, replicando il dato del luglio 2024 e il più alto dal novembre 2021, in piena pandemia. Infine, retribuzioni orarie cresciute dello 0,3% mensile e del 3,7% annuo. Le attese erano per un aumento tendenziale del 3,8%, in ogni caso meno del +3,9% di luglio. Nel complesso, i rendimenti lunghi sono scesi per scontare un taglio dei tassi di interesse quasi certo per il prossimo 17 settembre da parte della Federal Reserve.
Dati USA giustificano mini-taglio dei tassi
Non abbiamo spiegato più e più volte che gli stessi rendimenti lunghi sono saliti di recente in barba proprio al taglio dei tassi? Vero, le banche centrali possono tutt’al più manovrare direttamente il tratto medio-breve della curva delle scadenze. E allora come si spiega questo trend? I dati macroeconomici americani non sono deboli in assoluto, ma segnalano certamente un indebolimento della congiuntura. E questo permette alla FED di giustificare il taglio dello 0,25% atteso, indipendentemente dalle pressioni che riceve dalla Casa Bianca.
I rendimenti lunghi sono saliti negli ultimi tempi anche per scontare il rischio di una banca centrale americana meno indipendente dalla sfera politica. Tuttavia, ora che i tassi sono attesi in calo per ragioni che esulano i desiderata del presidente Donald Trump, il discorso cambia. L’allentamento monetario non sarebbe più un capriccio del tycoon, ma una corretta reazione ad un mercato del lavoro meno forte. Certo, il problema sarà nei prossimi giorni verificare il dato sull’inflazione ad agosto. Nei due mesi precedenti era salita al 2,7%, ben sopra il target del 2%.
Rendimenti lunghi pronti a risalire
E c’è da considerare anche la debolezza del dollaro, che sostiene le aspettative d’inflazione. I rendimenti lunghi hanno per il momento smesso di salire, scontando minori tensioni tra governo e FED.
Torneranno a salire al minimo cenno di ripresa dello scontro. In più, tra riarmo europeo e inflazione che non scende nemmeno nell’Eurozona, i rischi restano improntati al rialzo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
