La crisi fiscale in Francia è diventata drammatica e si alimenta della crisi politica sempre più ingestibile. Il primo ministro François Bayrou, salvo miracolo, sarà sfiduciato dall’Assemblea Nazionale lunedì 8 settembre. I conti pubblici sono alla deriva, il deficit scenderebbe appena dal 5,8% al 5,4-5,6% del Pil quest’anno e il debito pubblico salirebbe al 114%. Come se non bastasse, l’economia francese presenta squilibri strutturali come un saldo commerciale cronicamente passivo, una posizione finanziaria netta con l’estero negativa e un drastico peggioramento del saldo Target 2. La Banca Centrale Europea (BCE) osserva, anche se per il momento non sembra voler replicare l’infelice invio della lettera che nel 2011 contribuì a scatenare la crisi dello spread in Italia.
Lettera BCE e crisi dello spread nel 2011
L’altro ieri, Madame Christine Lagarde ha allontanato l’ipotesi di un salvataggio della Francia ad opera del Fondo Monetario Internazionale. Il solo fatto che ne se parli, tuttavia, segnala la gravità della situazione. Lo stesso ministro dell’Economia, Eric Lombard, ha paventato un tale rischio nel caso di caduta dell’attuale governo. La numero uno di Francoforte si è limitata a constatare quanto sarebbe dannosa la sfiducia parlamentare. E per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ha lodato gli sforzi dell’Italia per risanare i conti pubblici.
La lettera della BCE arrivò in piena estate nel 2011, quando già i rendimenti italiani erano saliti pericolosamente. Firmata dal governatore francese uscente Jean-Claude Trichet e dal successore “in pectore” Mario Draghi, in essa l’istituto chiedeva al governo Berlusconi il varo di una cinquantina di riforme entro un lasso di tempo breve. Sarebbe dovuta rimanere segreta, ma fu svelata dalla stampa. Il risultato fu suicida: le tensioni sui mercati si acuirono al punto da portare all’esplosione dello spread e alla caduta dell’esecutivo agli inizi di novembre. In quei giorni, l’asta per il Bot a 6 mesi esitava il rendimento record del 6,4%.
Impasse politica grave in Francia
Ci sarà una seconda lettera della BCE, stavolta indirizzata alla Francia? Guardando agli errori del passato, diremmo di no. A maggior ragione che Lagarde sia una connazionale di Emmanuel Macron. E tra francesi non si pestano i piedi. Noi italiani, si sa, alla prima occasione ci accoltelliamo a vicenda in diretta mondiale. Il guaio è che a Parigi la situazione politica è ben peggiore che a Roma nel 2011. La caduta del governo Berlusconi fu allora seguita dall’immediato insediamento di un governo di unità nazionale a guida Mario Monti. Al contrario, l’Assemblea Nazionale è così frammentata da rendere inimmaginabile una qualche soluzione unitaria, pur transitoria.
Per come si sono messe le cose, lo sblocco dall’impasse arriverebbe solo con elezioni presidenziali anticipate. Macron si dimetterà nel nome dell’interesse nazionale? Ammesso che lo facesse, due probabili vincitori sarebbero da una parte Marine Le Pen e dall’altra Jean-Luc Mélenchon. La Francia passerebbe dall’essere il principale membro europeista dell’UE al trasformarsi in una realtà sovranista ed euroscettica o in uno stato radicalmente a sinistra con politiche ostili all’austerità fiscale, alla NATO e al libero mercato.
Gli investitori non stanno ancora del tutto scontando questo scenario. Sperano che da qui al 2027 possa cambiare qualcosa che porti alla vittoria un candidato centrista e simil-macroniano.
Test di credibilità per Lagarde
Più passano i mesi senza che la crisi fiscale venga affrontata di petto, minori le probabilità che ciò accada. Una lettera della BCE servirebbe come il pane per mettere le cose in chiaro ai politici francesi. Difficilmente arriverà. E c’è il rischio non minore che Lagarde diventi troppo di parte nella gestione della politica monetaria. A lei si deve il tristemente famigerato “non siamo qui a chiudere gli spread” del marzo 2020. Un errore frutto dell’inesperienza, ma anche della faciloneria con cui si commentano i fatti in casa di altri.
Nessuno spera un bis in tali esternazioni farneticanti, ma un atteggiamento completamente differente rispetto a quello tenuto verso l’Italia negli anni bui della crisi del bilancio verrebbe letto come partigiano. C’è in gioco la credibilità di Francoforte e in una fase in cui già le banche centrali nel loro complesso godono di fiducia parziale dei mercati dopo anni di dominanza fiscale. Se la BCE non vuole inviare una lettera all’Eliseo o a Palazzo Matignon, perlomeno non intervenga per difendere l’indifendibile. A Parigi ancora credono nei pasti gratis, rinviando di anno in anno il taglio del deficit sotto il 3% ed evitando sia riduzioni della spesa pubblica che aumenti delle entrate.
Niente lettera BCE, ma servono riforme
Mentre il rendimento a 30 anni è salito al 4,50%, gran parte dei partiti invoca il disfacimento della riforma delle pensioni, tra l’altro poca roba rispetto ai sacrifici imposti ai lavoratori italiani. Che la Francia stia vivendo sopra le sue possibilità lo gridano due indicatori: l’eccesso di importazioni e il disavanzo primario. Servono riforme per rilanciarne la competitività, oltre che una cura all’insegna dell’austerità. Di tutto questo a Parigi non si discute, se non nei consigli dei ministri senza seguito.
Forse è azzardato immaginare la Troika, anche se di governo in governo la direzione assunta sembra quella.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

