Calcolo pensione a 67 anni: quanto si prende con 20 anni di contributi e quanto con 30 anni? Rispondiamo a questa domanda per aiutare molti nostri lettori in dubbio su cosa fare.
Andare in pensione a 67 anni oggi è la regola, perché questa è l’età pensionabile vigente. Ed è proprio su questa soglia che si sta ragionando circa il blocco dell’aumento legato all’aspettativa di vita previsto per il 2027.
La pensione di vecchiaia a 67 anni si ottiene con almeno 20 anni di contributi. Tuttavia, per chi ha iniziato a versare solo dopo il 1995, è richiesto anche che la pensione maturata sia almeno pari all’importo dell’assegno sociale.
Il calcolo della pensione è quindi fondamentale. Chi rientra interamente nel sistema contributivo ha un calcolo più lineare, perché non dipende dalle ultime annualità di retribuzione, come accade invece per chi ha versamenti antecedenti al 1996. Per questo motivo, più contributi si versano, migliore sarà la pensione.
Essendo i contributi commisurati allo stipendio percepito – il lavoratore dipendente versa infatti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti circa il 33% della retribuzione – è evidente che il calcolo della pensione è soggettivo, dipendendo dalla vita lavorativa e contributiva di ciascun lavoratore.
Cosa incide sul calcolo della pensione
Versare 30 anni di contributi è generalmente meglio che versarne 20, ma non sempre garantisce una pensione più alta. Infatti, può accadere che chi ha solo 20 anni di contributi percepisca una pensione maggiore rispetto a chi ne ha 30, in base all’entità delle retribuzioni e dunque del montante contributivo accumulato.
Tutti i contributi versati confluiscono nel cosiddetto montante contributivo. Alla data del pensionamento – ossia al compimento dei 67 anni, con decorrenza dal mese successivo – il montante viene “aperto” come un salvadanaio.
Le somme versate sono rivalutate al tasso di inflazione, e il totale viene poi moltiplicato per i coefficienti di trasformazione, che diventano tanto più favorevoli quanto più alta è l’età di uscita. A 67 anni, il coefficiente applicato è 5,608.
Esempi pratici e come si arriva all’importo del trattamento percepito
Nel sistema contributivo, un pensionato percepisce esattamente ciò che gli spetta in base ai versamenti effettuati e alle regole di calcolo descritte. Non sono previste integrazioni al trattamento minimo, maggiorazioni sociali o altre forme di supporto legate al reddito, come invece avviene in altri casi.
Facciamo un esempio.
- Un lavoratore che ha versato 20 anni di contributi per un totale di 200.000 euro di montante rivalutato percepirà una pensione annua di 11.216 euro. Pari a poco più di 862 euro al mese per tredici mensilità.
- Anche se un altro lavoratore avesse versato 30 anni di contributi, ma con retribuzioni più basse che hanno generato lo stesso montante, la pensione sarebbe identica.
Ciò che davvero conta, dunque, è il montante contributivo. Ad esempio, con 20 anni di versamenti e un montante rivalutato pari a 100.000 euro, la pensione ammonterebbe a 5.608 euro annui. Ossia poco più di 430 euro al mese.
Se il lavoratore rientra nel sistema misto, perché ha contributi anche precedenti al 1996, la sua pensione potrebbe essere integrata fino a 603 euro al mese, ma ciò dipende dai redditi complessivi.
Nel sistema puramente contributivo, invece, questa possibilità non esiste: chi non aveva alcun versamento prima del 31 dicembre 1995 riceverebbe solo i 430 euro mensili, senza alcuna integrazione.