Se il datore viola la privacy durante il permesso 104 il licenziamento è nullo? Come canta Ivana Spagna con il brano Gente come noi: “Quante volte si dicono parole, che vorresti subito cancellare. E nascono barriere che non cadono più, ferendo chi ci ama come hai fatto tu”.
Tante sono le volte che, sia nella sfera privata che quella professionale, vengono pronunciate parole o compiute azioni che lasciano segni profondi.
Nel contesto lavorativo, ad esempio, queste “barriere” possono nascere, da gravi violazioni della privacy del dipendente, come il mancato rispetto della riservatezza durante un permesso previsto dalla Legge 104. Un comportamento del genere non è solo eticamente scorretto, ma può rendere nullo un licenziamento, aprendo la strada al reintegro e al risarcimento.
Privacy e permesso 104: come annullare il licenziamento
Un recente caso affrontato dal Tribunale del Lavoro di Venezia offre un importante precedente per chi usufruisce dei permessi previsti dalla Legge 104. Un dipendente, licenziato con l’accusa di aver sfruttato indebitamente queste ore di assenza, ha ottenuto la reintegrazione e il riconoscimento sia dell’illegittimità del provvedimento che della violazione della sua privacy.
L’azienda aveva infatti incaricato un’agenzia investigativa di seguirlo tramite un dispositivo GPS installato sul veicolo aziendale, senza informarlo. Per il giudice, un simile controllo, oltre a ledere la dignità del lavoratore, non può essere usato per giustificare un licenziamento.
Nel corso del procedimento, inoltre, il lavoratore ha dimostrato con testimonianze e documenti che, nei giorni contestati, si era dedicato a interventi mirati a migliorare la sicurezza e la vivibilità dell’abitazione della madre disabile, come lavori di protezione e adeguamenti per agevolare gli spostamenti della sorella, anch’essa affetta da gravi patologie.
Il tribunale ha riconosciuto che tali attività rientrano a pieno titolo tra quelle ammesse dalla normativa a tutela di chi presta assistenza a un familiare con disabilità.
Considerando anche l’assenza di precedenti disciplinari e il fatto che il dipendente avesse alle spalle una condotta lavorativa sempre corretta, il licenziamento è stato dichiarato nullo, con diritto al reintegro e al risarcimento delle mensilità perse, oltre al rimborso delle spese legali. Questo caso conferma che un licenziamento basato su controlli illeciti e su un’interpretazione restrittiva delle finalità dei permessi 104 può essere impugnato con successo.
Assistenza non è solo presenza fisica
Ma non solo, questa sentenza conferma anche il principio in base al quale un lavoratore non debba essere sempre accanto al familiare non autosufficiente per assisterlo. Anche svolgere attività come espletare pratiche burocratiche o organizzare visite mediche per conto del familiare disabile rientrano nell’ambito della cura. Il caregiver, pertanto, può allontanarsi dalla casa del familiare non autosufficiente per svolgere servizi per conto di quest’ultimo, come ad esempio fare la spesa.
Vietato invece svolgere, nei giorni in cui si usufruisce dei permessi Legge 104, attività ludiche o di svago. Come, ad esempio, andare dall’estetista, in palestra, piuttosto che fare una vacanza. In pratica, non sono consentite le attività non strettamente volte ad assistere la persona non autosufficiente.
Si tratta, d’altronde, di un comportamento che fa venir meno la fiducia del datore di lavoro. Il quale può decidere di avviare il licenziamento per giusta causa. Quest’ultimo, comunque, non avviene in tronco, bensì deve essere avviato un procedimento disciplinare per consentire al lavoratore di fornire le proprie giustificazioni.