E’ stata una settimana tragica per l’Unione Europea, che vive la sua crisi più grave da quando è nata. Gli anni dello spread alle stelle si pensava che fossero stati i più micidiali per la sopravvivenza delle istituzioni comunitarie. Poi sono schizzati i consensi per le formazioni sovraniste e anche questo aspetto ha messo in dubbio la capacità di Bruxelles di andare avanti. Ma la vera picconata sta arrivando dall’esterno con ripercussioni politiche continentali fortissime. In Scozia, domenica scorsa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, stringeva un accordo sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
UE umiliata dagli USA di Trump
L’intesa è stata considerata umiliante da quasi tutti i commentatori e analisti dentro e fuori l’UE. L’America imporrà dazi al 15% sulle nostre esportazioni e pretenderà che acquistiamo energia per 750 miliardi di dollari (oltre che armi) e che vi investiamo 600 miliardi. In cambio, l’UE non alzerà i dazi sulle importazioni dagli USA. Termini completamente sbilanciati in favore di Washington. Più che responsabilità singole, siamo di fronte al naufragio di decenni di politiche inconsistenti di Bruxelles. Non avevamo alcuna leva negoziale per negoziare alla pari o con maggiore forza. Se Trump volesse, sarebbe ancora in tempo per chiederci le mutande e dovremmo consegnargliele per assenza di alternative migliori.
La debolezza dell’UE è diventata insostenibile sul piano politico anche per i governi che finora l’hanno sostenuta senza tentennamenti. Critiche più o meno feroci sono state espresse da Francia e Germania. I contribuenti di tutta l’area iniziano a chiedersi sul serio se abbia senso finanziare un baraccone, che risulta incapace di fare meglio di quanto farebbero singolarmente gli stati membri sul piano negoziale.
Per decenni ci siamo raccontati che l’UE, con tutti i suoi difetti, servisse per contare di più in un mondo sempre più grande. Abbiamo avuto la prova che non è così. Il Regno Unito ha strappato agli USA dazi al 10%, il Giappone quanto noi. Insomma, l’UE raduna 27 stati e ottiene meno di uno solo di medie dimensioni.
Francia e Germania critiche con Bruxelles
La crisi europea è ormai esistenziale. Una qualsiasi sovrastruttura perde di significato se non riesce a garantire alcun valore aggiunto a chi la finanzia. Perché nei prossimi anni economie come Germania, Francia e Italia dovranno versare centinaia di miliardi a fronte di obiettivi scadentissimi? Non è più una questione di essere sovranisti o europeisti. Gli stessi tedeschi e francesi stanno dubitando della necessità di mantenere istituzioni pletoriche e ridicolizzate all’infuori del continente. I grandi della Terra si muovono secondo logiche politiche, mentre Bruxelles è la negazione della politica e rappresenta il trionfo della burocrazia elefantiaca.
Per la prima volta ci sentiamo di affermare che anche i più accaniti sostenitori siano consapevoli che così com’è, l’UE non può tirare avanti. Ne va dei loro stessi interessi e, quindi, anche della tenuta delle istituzioni nazionali.
I popoli ad ogni elezione si stanno rivoltando contro gli apparati comunitari. La Francia è ormai in pieno caos politico, mentre la Germania rischia di fare la stessa fine se entro breve il suo governo non sarà in grado di riportare l’economia in crescita.
Crisi europea per mancanza di politica
La crisi europea è esplosa in tutta la sua drammaticità per mano dell’alleato più forte e prezioso degli ultimi 80 anni. Ha evidenziato come dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ci siamo ridotti a una succursale degli americani sul piano geopolitico, senza l’elaborazione di una propria identità in difesa dei propri interessi. Ci siamo concentrati su aspetti secondari e persino idealistici (vedi Green Deal) con il risultato di avere indebolito la struttura industriale e ignorato quella finanziaria, al contempo restando alla mercé altrui sul piano tecnologico. Un flop che rende inevitabile l’umiliazione di questi giorni e obbligatoria la revisione di ciò che ad oggi è stata la UE.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

