Cambio di direzione per il dollaro, che si avvantaggia nelle ultime sedute degli accordi commerciali stretti e annunciati dall’amministrazione Trump con alcuni dei principali partner mondiali, tra cui l’Unione Europea. Il biglietto verde guadagna in media il 3% dai minimi toccati durante la settimana scorsa contro le altre valute. Si riporta ai livelli di fine maggio, cioè ai massimi da due mesi. Analogo il trend contro l’euro: cambio sceso da 1,1760 a 1,1430 nell’arco di un paio di sedute.
Competitività ridotta contro gli USA
La ripresa del dollaro è un’apparente buona notizia per tutti. Lo è senza dubbio per le economie colpite dai dazi. Se il trend si consoliderà, si ritroveranno a fronteggiare un cambio meno sfavorevole. Il rafforzamento delle loro valute si traduce, infatti, in una ulteriore perdita di competitività per le imprese, che va a sommarsi all’innalzamento delle tariffe sulle loro esportazioni.
USA a rischio inflazione
Anche gli Stati Uniti beneficeranno di un dollaro meno debole. Per i consumatori americani i dazi rappresentano un costo, il quale rischia di essere amplificato dalla crisi del cambio. Se da un lato ciò va nella direzione auspicata dalla Casa Bianca di massimizzare i benefici per le aziende USA esportatrici, dall’altro c’è il rischio di uno shock inflazionistico. Un dollaro in ripresa attenua tale timore e consentirebbe alla Federal Reserve di tornare a tagliare i tassi di interesse dopo l’estate. Il mercato lo sta già scontando.
Al contrario, sta accadendo che le previsioni per un nuovo tasso dei tassi nell’Eurozona si stiano affievolendo. Un euro più debole contribuisce a tale lettura.
La Banca Centrale Europea allenterebbe la politica monetaria con un cambio contro il dollaro a o sopra 1,20. Più ci allontaniamo da tale soglia, minori le probabilità che ciò si verifichi.
Dollaro risale su minori tensioni commerciali
Qual è la ragione per cui il dollaro si riprende dai minimi, pur restando del 9% sotto i massimi di gennaio? Sui mercati è tornata parzialmente la fiducia riguardo alla capacità degli Stati Uniti di reggere le politiche commerciali trumpiane. L’economia americana si sta rivelando più resiliente del previsto. E’ cresciuta del 3% annuo nel secondo trimestre dopo il -0,5% nel primo. L’inflazione è salita al 2,7% a giugno, anche se i veri effetti dei dazi si vedrebbero nei mesi successivi. Fin qui la situazione non è allarmante. Più accordi commerciali il presidente Donald Trump siglerà e minori le probabilità di un’escalation commerciale e persino valutaria.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
