Sta prendendo piede l’ipotesi di estendere a tutti gli iscritti alla previdenza obbligatoria le medesime regole oggi riservate ai contributivi puri. Le ragioni che spingono in questa direzione sono essenzialmente due.
La prima è che, ormai, la maggior parte dei contribuenti iscritti alla previdenza obbligatoria INPS ha accumulato solo pochi anni di contributi nel sistema retributivo. Questo significa che, anche laddove ci siano penalizzazioni legate al calcolo contributivo, esse risultano poco rilevanti o trascurabili.
La seconda ragione riguarda il fatto che le differenze tra vecchi e nuovi iscritti al sistema INPS rappresentano una stortura da correggere, soprattutto per quanto riguarda le pensioni minime, che in molti casi non vengono integrate, lasciando i pensionati con assegni particolarmente bassi.
Alla luce degli ultimi sviluppi, è plausibile pensare che anche in assenza di una riforma strutturale del sistema pensionistico, dal 2026 possano esserci cambiamenti radicali.
Pensioni minime a 603 euro: dal 2026 maggiori possibilità
Nel sistema previdenziale italiano, la vera data spartiacque non è – come molti pensano – il 2012 (anno della riforma Fornero), bensì il 1996, anno in cui entrò in vigore la riforma Dini. Con essa nacque il sistema contributivo, che ha segnato una svolta definitiva nel calcolo delle pensioni.
Fino al 1995, era in vigore il metodo retributivo, secondo cui l’importo della pensione era calcolato sulla base delle ultime retribuzioni percepite: più alte erano, più alto risultava l’assegno. Dal 1996, invece, con il metodo contributivo, il calcolo si basa su quanto effettivamente versato dal lavoratore nel cosiddetto montante contributivo.
È vero che retribuzioni più elevate continuano a determinare contributi più alti e quindi pensioni migliori. Ma l’impatto di uno stipendio elevato alla fine della carriera è oggi molto meno incisivo rispetto al passato.
Secondo molti esperti, il sistema contributivo ha permesso di eliminare diverse iniquità, rendendo il meccanismo pensionistico più equo e sostenibile.
Dalla riforma Dini alla riforma Fornero: come è cambiato il sistema previdenziale
La riforma Fornero del 2012 ha rafforzato l’impianto contributivo, ma ha anche mantenuto una convivenza forzata con il sistema retributivo, creando un sistema misto. In particolare, ha introdotto regole diverse per il diritto alla pensione, a seconda che l’iscrizione alla previdenza sia avvenuta prima o dopo il 1996.
Ecco le principali differenze tra chi ha iniziato a versare prima e dopo il 1996:
- Pensione di vecchiaia a 71 anni con solo 5 anni di contributi: ammessa solo per chi ha il primo versamento dopo il 1995.
- Pensione anticipata contributiva a 64 anni con almeno 20 anni di contributi: concessa solo ai contributivi puri (primo accredito post-1995).
- Importo minimo pari all’assegno sociale per ottenere la pensione: richiesto solo per chi ha versamenti dal 1996 in poi.
- Calcolo con metodo retributivo fino al 1995 o al 2011 (se con almeno 18 anni di contributi al 31/12/1995): riservato solo a chi ha iniziato prima del 1996.
- Maggiorazioni sociali e integrazioni al trattamento minimo: riconosciute solo a chi ha carriere anteriori al 1996.
- Maggiorazione contributiva per contributi versati prima dei 18 anni (precoci): concessa solo a chi ha iniziato dopo il 1995.
Iniziano a essere limate alcune differenze, a partire dalle pensioni minime a 603 euro
Le differenze sopra elencate iniziano ad essere oggetto di revisione, come dimostra una recente sentenza della Corte Costituzionale in tema di pensioni di invalidità previdenziali.
La normativa attuale esclude le maggiorazioni e le integrazioni al trattamento minimo INPS per chi ha il primo accredito successivo al 31 dicembre 1995. La Consulta ha però dichiarato incostituzionale questa esclusione, osservando che, per esempio, un invalido con primo accredito al 31/12/1995 può ricevere una pensione fino a 603 euro mensili nel 2025, mentre chi ha il primo accredito dal 1° gennaio 1996 può ricevere poco più di 300 euro.
A seguito della sentenza, chi si trova in questa situazione può ora presentare istanza per ottenere la maggiorazione dal momento in cui è stata pronunciata la decisione della Consulta. Non sono previsti arretrati, poiché la sentenza non ha effetto retroattivo.
Se due più due fa quattro, allora è legittimo attendersi un’estensione della pronuncia anche ad altre categorie oggi escluse. L’auspicio è che presto le pensioni possano essere integrate al trattamento minimo anche per tutti coloro che non vantano contributi precedenti al 1996, ponendo così fine a una storica disparità nel sistema previdenziale.