C’è una grande differenza tra i contribuenti che hanno iniziato a versare prima del 1996 e quelli che hanno cominciato a farlo successivamente. I primi sono i cosiddetti vecchi iscritti, perché hanno iniziato a versare i contributi prima di un cambiamento epocale nel sistema previdenziale italiano: l’introduzione del calcolo contributivo, con la riforma Dini.
I secondi, invece, sono i cosiddetti contributivi puri, cioè coloro che risultano iscritti solo dopo l’entrata in vigore della riforma.
Le differenze tra le due categorie sono significative, sia per quanto riguarda il calcolo della pensione, sia per le regole di accesso al pensionamento. Ma ora, con una recente sentenza della Corte Costituzionale, si aprono nuovi scenari che prima erano del tutto esclusi.
Scenari che potrebbero portare più soldi nelle tasche di molti pensionati.
Differenze tra contributivi puri e misti: eccole in estrema sintesi
Come anticipato, le differenze tra contributivi e misti (cioè vecchi e nuovi iscritti) iniziano proprio dalle regole di calcolo della pensione.
- Per i contributivi puri, che hanno iniziato a versare dopo il 31 dicembre 1995, la pensione è calcolata interamente con il metodo contributivo.
→ La prestazione è determinata esclusivamente sulla base dei contributi versati. - I misti, invece, possono godere del calcolo retributivo fino al 31 dicembre 1995 (o fino al 31 dicembre 2011 se, alla fine del 1995, avevano già almeno 18 anni di contributi, cioè 936 settimane).
Il metodo retributivo risulta generalmente più vantaggioso, perché basato anche sugli ultimi stipendi percepiti, e non solo sui contributi effettivi.
Cos’altro cambia tra contributivi puri e non, anche sulle pensioni minime
Ma le differenze non si fermano al solo calcolo dell’importo. Esistono anche regole diverse per l’accesso alla pensione.
- Per i vecchi iscritti, la pensione di vecchiaia ordinaria si raggiunge con 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi.
- Per i nuovi iscritti, oltre a questo requisito, la pensione deve essere di importo pari almeno all’assegno sociale INPS dell’anno in corso.
I contributivi puri hanno anche accesso a una misura a loro esclusiva, ovvero la pensione anticipata contributiva.
Questa consente di uscire a 64 anni con almeno 20 anni di contributi e una pensione non inferiore a 3 volte l’assegno sociale (con sconti per le lavoratrici madri).
Un’altra importante differenza riguarda le integrazioni al trattamento minimo e le maggiorazioni sociali:
- i vecchi iscritti possono riceverle;
- i contributivi puri, invece, non ne hanno diritto: la loro pensione dipende solo dai contributi versati.
Azzerate alcune differenze tra contributivi e misti: ecco cosa ha deciso la Consulta
Fino a oggi, le differenze tra le due categorie erano nette e consolidate. Ma ora qualcosa sta cambiando.
Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte Costituzionale ha stabilito che anche i contributivi puri possono accedere all’integrazione al trattamento minimo, almeno per le pensioni di invalidità.
La Consulta ha ritenuto illegittimo l’articolo della riforma Dini che escludeva l’integrazione al minimo per i titolari di assegno ordinario di invalidità privi di contributi versati prima del 1996.
Questo significa che, per questi pensionati, le differenze con i vecchi iscritti sono state annullate. Un cambiamento che potrebbe avere ripercussioni importanti anche per altri tipi di prestazioni.
Aumento delle pensioni minime per tutti? Ecco i nuovi scenari dopo la sentenza della Corte Costituzionale
La decisione della Consulta potrebbe aprire la strada a nuove richieste di equiparazione anche per altri trattamenti pensionistici.
Naturalmente, nulla è automatico: sarà necessario che qualcuno presenti un ricorso, chiedendo l’estensione di questo principio ad altri casi. In particolare, si potrà chiedere che anche le prestazioni dei contributivi puri vengano integrate, come già avvenuto per l’assegno ordinario di invalidità.
Se la giurisprudenza dovesse seguire questo nuovo orientamento, si aprirebbe la strada a una vera rivoluzione sulle pensioni minime, con la possibilità che tutti i trattamenti (anche quelli dei nuovi iscritti) vengano portati almeno al livello del trattamento minimo INPS.
Oggi, tale importo è pari a circa 603 euro al mese.
Un aumento delle pensioni minime per i contributivi puri non è più un’ipotesi remota.