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Oggi: 05 Dic, 2025

Abuso permessi 104: la prova che i datori vogliono e che invece non basta per il licenziamento

Nel caso di abuso permessi Legge 104, non sempre le prove usate dai datori bastano per il licenziamento. Ecco cosa dice la giurisprudenza.
4 mesi fa
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licenziamento Abuso permessi 104
Foto © Pixabay

Non sempre le prove raccolte dai datori di lavoro per dimostrare un abuso dei permessi 104 sono sufficienti a giustificare il licenziamento. Come cantano J-Ax e Fedez con il brano Vorrei ma non posto: “E come faranno i figli a prenderci sul serio con le prove che negli anni abbiamo lasciato su Facebook”.

Una frase che ben evidenzia quanto sia complesso interpretare certe situazioni e quanto possano risultare deboli o ambigue le prove disponibili. Per essere davvero efficaci, infatti, le prove devono essere chiare, precise e supportate da elementi concreti.

In caso contrario rischiano di non reggere di fronte a un giudice e di non bastare a dimostrare un abuso o a giustificare una decisione importante come il licenziamento.

Basti pensare a come nel mondo del lavoro i permessi previsti dalla Legge 104 godano di una tutela specifica, ma non sono immuni da sospetti di uso improprio. Tuttavia, non tutte le prove raccolte a riguardo vengono ritenute valide dalla giurisprudenza per giustificare sanzioni particolarmente severe. Scopriamo quindi quali tipologie di prove vengono accettate e quali, invece, non sono sufficienti per legittimare un licenziamento.

Abuso permessi 104: la prova che i datori vogliono e che invece non basta per il licenziamento

Nel mondo del lavoro ogni prova conta. Ma quando si tratta di permessi concessi ai sensi della Legge 104 le cose si fanno ancora più complicate. È facile pensare che basti un pedinamento o qualche fotografia per smascherare un abuso. Ma in tribunale i sospetti non bastano, bensì servono elementi concreti, chiari e soprattutto completi.

A confermarlo è stata una recente sentenza del Tribunale di Bologna, ovvero la numero 731 del 2025, che ha annullato il licenziamento di un dipendente accusato di aver utilizzato i permessi 104 per scopi personali.

Il caso offre un’occasione preziosa per riflettere su quali prove siano davvero valide, e su cosa significhi, dal punto di vista legislativo, prestare assistenza a un familiare disabile.

Il caso: un’indagine privata, molte lacune

Entrando nei dettagli il caso all’oggetto dell’attenzione dei giudici è nato dalla decisione di licenziare un lavoratore accusato di aver sfruttato alcuni giorni di permessi 104 per motivi personali, anziché per assistere la madre gravemente malata. Per sostenere le proprie ragioni l’azienda ha fatto ricorso a un’agenzia investigativa, presentando fotografie e pedinamenti che mostravano il dipendente impegnato in attività apparentemente non legate all’assistenza della madre malata.

Ma in aula le cose sono andate diversamente. L’indagine, ha spiegato il giudice, conteneva troppe zone d’ombra. In alcune giornate l’uomo veniva perso di vista, in altre si trovava proprio nella casa dove viveva con la madre e non c’erano elementi per escludere che l’assistenza fosse stata comunque prestata. In una delle date contestate era addirittura documentato un suo accesso a un CAF per conto della madre, ovvero un’attività perfettamente coerente con l’obiettivo assistenziale dei permessi.

Le uniche eccezioni riguardavano due giornate estive in cui non risultava alcun tipo di assistenza.

Ma secondo il giudice non erano sufficienti per parlare di abuso sistematico, soprattutto considerando che in quei giorni l’azienda stessa aveva chiesto al lavoratore di convertire le ferie in permessi 104.

Il lavoratore deve essere sempre accanto al familiare non autosufficiente?

Una delle domande chiave del caso è la seguente: un lavoratore deve essere sempre accanto al familiare non autosufficiente per assisterlo? Ebbene, la risposta del Tribunale è no. L’assistenza non è solo una presenza fisica costante. Anche azioni come svolgere pratiche, prenotare visite mediche o recarsi in uffici pubblici per conto del familiare non autosufficiente rientrano pienamente nell’ambito della cura. Alla base della decisione del giudice c’è un principio fondamentale, ossia la proporzionalità della sanzione disciplinare.

Anche ammesso che il lavoratore abbia commesso un’irregolarità, questa deve essere valutata nel suo contesto. Due giorni isolati, privi di malizia evidente, non bastano a compromettere il rapporto di fiducia al punto da giustificare il licenziamento. In altre parole l’azienda può, e deve, verificare l’uso dei permessi. Ma se la risposta è un provvedimento così grave, allora le prove devono essere inequivocabili, coerenti e raccolte con serietà. La sentenza di Bologna, d’altronde, non apre le porte agli abusi. Anzi, ribadisce che l’uso scorretto dei permessi 104 è una violazione seria. Ma chiarisce anche che non basta ipotizzare un abuso o basarsi su ricostruzioni deboli e approssimative.

Per sostenere un licenziamento serve una ricostruzione solida e puntuale. Le fotografie scattate fuori contesto, i video brevi, le assenze non giustificate non possono sostituire una prova concreta. E quando l’assistenza è indiretta ma supportata da riscontri credibili, non può essere considerata illegittima. La gestione dei permessi Legge 104, d’altronde, è un tema delicato, che richiede equilibrio, serietà e rispetto delle tutele previste per chi assiste persone fragili. Gli abusi vanno certamente contrastati, ma con rigore giuridico e non con approssimazione investigativa. Lo impone non solo la legge, ma anche il buon senso.

Veronica Caliandro

In InvestireOggi.it dal 2022 si occupa di articoli e approfondimenti nella sezione Fisco. E’ Giornalista pubblicista.
Laureata in Economia Aziendale, collabora con numerose riviste anche su argomenti di economia e attualità. Ha lavorato nel settore del marketing e della comunicazione diretta, svolgendo anche attività di tutoraggio.

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