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Oggi: 05 Dic, 2025

Trasferimento caregiver, quando è possibile e cosa significa “incompatibilità ambientale”

Quando è possibile il trasferimento di un caregiver e cosa significa "incompatibilità ambientale"? Ecco cosa c'è da sapere.
5 mesi fa
3 minuti di lettura
caregiver Legge 104
Foto © Pixabay

Il trasferimento caregiver è sempre ammissibile? Come canta Emma Marrone con il brano Un Sogno a Costo Zero: “Va l’estate, corre come un treno, corre come un treno. Tutti a prenotare per un sogno a costo zero, ho preso l’abitudine di non stare a pensare. L’aspetto delle cose cambia visto da un balcone, mi trovo in disaccordo col mio stato di coscienza”.

Parole che rispecchiano un bisogno impellente di cambiamento, di fuga, di cercare un equilibrio nuovo altrove, anche quando la realtà sembra complicata e sfuggente.

A volte la necessità di cambiare contesto non nasce da un capriccio, bensì da un reale disagio, da una situazione personale che diventa insostenibile, soprattutto per chi ha la responsabilità quotidiana di assistere un familiare fragile.

In tale ambito il cosiddetto trasferimento del caregiver rappresenta uno strumento importante, ma anche complesso e, soprattutto, non sempre concesso in automatico. Capire quando è possibile richiederlo e soprattutto cosa si intenda per “incompatibilità ambientale“, quindi, è fondamentale per orientarsi al meglio tra normative, diritti e doveri.

In molti casi, infatti, dimostrare che l’ambiente in cui si vive non è più idoneo può fare la differenza tra restare bloccati o ottenere il permesso di ricominciare altrove. Ma cosa significa davvero? Quando è possibile richiedere il trasferimento e quali sono i limiti? Entriamo nei dettagli e facciamo chiarezza in merito.

Trasferimento caregiver, quando è possibile e cosa significa “incompatibilità ambientale”

La Legge 104 è stata introdotta con l’intento di garantire un valido sostegno alle persone alle prese con uno stato di disabilità e ai familiari che si prendono cura di loro. In particolare, al fine di garantire una forma stabile e continuativa di supporto al familiare disabile, viene riconosciuto a chi presta assistenza il diritto di lavorare nella sede più vicina al domicilio della persona assistita.

Ma non solo, la normativa vigente stabilisce che il soggetto interessato non può essere trasferito contro la propria volontà.

Tuttavia non si tratta di un divieto in senso assoluto. In alcune situazioni, infatti, il trasferimento può avvenire anche senza il consenso del lavoratore. Il tutto a patto che sussistano motivi oggettivamente rilevanti e documentati. In particolare la giurisprudenza individua due casi principali in cui ciò è possibile, ovvero:

  • chiusura o soppressione della sede lavorativa, per cui il trasferimento si rivela essere l’unica alternativa alla cessazione del rapporto di lavoro;
  • quando si verifica una grave incompatibilità ambientale, tale da rendere difficile o addirittura impossibile la prosecuzione del rapporto nella sede originaria.

Con il termine “incompatibilità ambientale”, è bene sottolineare, si fa riferimento a situazioni lavorative caratterizzate da forti tensioni, conflitti personali, difficoltà relazionali persistenti o condizioni tali da compromettere la serenità e la produttività dell’ambiente di lavoro, oltre che il benessere psico-fisico dei soggetti coinvolti.

La sentenza del Tribunale di Milano

Su tale argomento è intervenuto di recente il Tribunale di Milano che, attraverso la sentenza numero 581 del 10 febbraio 2025, ha sottolineato come in determinate circostanze un lavoratore tutelato dalla Legge 104 possa essere spostato di sede senza il proprio consenso.

Il tutto volgendo particolare attenzione ai casi di incompatibilità ambientale.

Entrando nei dettagli, nel caso analizzato dal Tribunale di Milano una dipendente che usufruiva dei permessi previsti dalla Legge 104 per assistere la madre era stata trasferita in un’altra sede dello stesso Comune. La lavoratrice aveva contestato la legittimità del provvedimento, ritenendolo come una forma di ritorsione. Anche alla luce di una precedente controversia per mobbing con il datore di lavoro. Il giudice ha però stabilito che il trasferimento era legittimo. Questo anche perché la nuova sede, essendo ubicata nello stesso Comune, non ostacolava l’attività di assistenza.

Se tutto questo non bastasse, la decisione dell’azienda si basava su motivi concreti e verificabili legati a una situazione di conflittualità interna. La sentenza sottolinea che, pur riconoscendo una tutela rafforzata al lavoratore caregiver, la legge consente eccezioni in presenza di esigenze aziendali particolarmente rilevanti e non generiche. In caso di contestazione, è il datore di lavoro a dover dimostrare la validità e la necessità del trasferimento. E con elementi oggettivi, non basati su mere valutazioni organizzative. Come sottolineato nella sentenza, infatti:

“Resta poi ferma la necessità che il datore di lavoro dia prova della sussistenza delle ragioni pei cui, nonostante il dissenso del lavoratore, se ne renda necessario il trasferimento giacché la previsione normativa in commento non individua un diritto assoluto del lavoratore ad opporsi ma relativo, dovendosi comunque preservare le ragioni dell’impresa che, ove provate, ben potrebbero giustificarne le scelte organizzative”.

Veronica Caliandro

In InvestireOggi.it dal 2022 si occupa di articoli e approfondimenti nella sezione Fisco. E’ Giornalista pubblicista.
Laureata in Economia Aziendale, collabora con numerose riviste anche su argomenti di economia e attualità. Ha lavorato nel settore del marketing e della comunicazione diretta, svolgendo anche attività di tutoraggio.

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