Se le province sono considerate da più parti enti inutili, che dire dell’ACI? L’automobile Club d’Italia, che gestisce principalmente il pubblico registro automobilistico (PRA) è forse l’ente più inutile del paese. E non da oggi. E’ un carrozzone, vecchio di 80 anni, su cui hanno messo abilmente le mani partiti, lobbies e sindacati, che non serve a nulla e grava come un macigno sui conti pubblici della nazione, cioè sulle tasche di ciascuno di noi. Più analiticamente, l’ACI non rappresenta altro che l’interesse di un gruppo di “privilegiati”, i responsabili dei vari automobile club provinciali, che sotto la parvenza di rappresentare i “soci” dell’ACI sono una lobby, nei fatti senza una vera legittimazione dei soci, di pressione anche sugli enti locali, grazie alle risorse derivanti dai finanziamenti relative alle funzioni svolte impropriamente per conto dello stato e delle regioni.

In passato i vari governi hanno provato a smantellare l’ACI come ente pubblico non economico tentando di privatizzarlo, ma non ci sono mai riusciti per la forte opposizione di uomini e forze partitiche e sindacali che col tempo hanno messo radici profonde nell’Associazione diventandone a tutti gli effetti dei padroni. Come il potentissimo segretario Ascanio Rozera, in ACI da 40 anni, al vertice dell’Ente da cinque mandati consecutivi e che guadagna più di 300 mila all’anno per avere il controllo quasi assoluto della macchina dirigenziale. Dietro di lui, poi, si sono susseguiti presidenti e vice presidente con stipendi da favola, oltre a doppi e tripli incarichi in varie altre aziende che nulla hanno a che vedere con la gestione del PRA o delle attività dell’Associazione più in generale.    

Il PRA è inutile e appesantisce la burocrazia con maggiori costi a carico dei cittadini

L’ACI – come sostiene da anni l’Associazione dei consumatori (ADUC) – è completamente inutile, soprattutto per quanto riguarda la doppia veste pubblico/privata che riveste con tutte le sue incongruenze e la poca chiarezza gestionale che l’accompagnano, e che rende la vita dei cittadini notoriamente più complicata e costosa.

Il proprietario di un auto, infatti, per poter circolare è attualmente costretto a ottenere dalla Motorizzazione civile la carta di circolazione, che documenta la proprietà del veicolo, e dall’ACI il certificato di proprietà così come contenuto nel PRA. Ma la proprietà di un veicolo, per chi no lo sapesse, è contenuta anche in un altro registro, quello creato nel 1992 dal nuovo Codice della Strada: l’Archivio nazionale dei veicoli (ANV) presso il ministero dei Trasporti. Qui sono contenuti i dati relativi alle caratteristiche di costruzione e di identificazione, all’emanazione della carta di circolazione e del certificato di proprietà, a tutte le successive vicende tecniche e giuridiche del veicolo, ad ogni eventuale incidente incorso per ogni veicolo a motore immatricolato. L’ANV può inoltre certificare, a richiesta dell’utente o persona interessata, i dati di cui è titolare. E’ quindi del tutto evidente che il PRA è un duplicato dell’ANV e per tenere allineati i due database si investono, sprecandole, risorse. In altri paesi basta il solo libretto per tutte e due le funzioni quindi l’ACI in Italia, a maggior ragione, è inutile essendo un doppione della Motorizzazione Civile e costituisce un grave appesantimento delle procedure di immatricolazione e di trasferimento della proprietà dei veicoli comportando inevitabilmente oneri maggiori a carico dei cittadini.    

ACI: consulenze e spese eccessive per il personale mandano i conti in rosso

Il club automobilistico, chiamiamolo così, ha 106 sedi provinciali, 13 direzioni regionali e gestisce in regime di monopolio business milionari: dal Gran Premio di Monza che da solo vale più di 50 milioni di euro, al PRA, il Pubblico registro automobilistico, che porta in cassa 220 milioni all’anno.

Complessivamente ha un giro d’affari da 1 miliardo di euro all’anno e 3.500 dipendenti a libro paga (in esubero in molte sedi provinciali) che costano l’esorbitante cifra di 158 milioni di euro annui, ma nel 2010 ha chiuso (ancora) il bilancio in perdita di 34 milioni di euro col risultato che la compagnia assicurativa SARA, sull’orlo del fallimento, è stata ceduta al gruppo bancario Intesa San Paolo per la cifra simbolica di 1 euro e contestualmente è stato annunciato dai vertici un massiccio piano di vendita degli immobili. Ma lo spreco – come rivela un’inchiesta condotta lo scorso anno dal quotidiano La Repubblica – prosegue senza sosta e i vertici dell’ente continuano indisturbati a spendere milioni di euro in consulenze esterne (nel 2010 sono stati bruciati più di 51 milioni per la gestione del sistema informatico, il triplo rispetto a quanto speso dalla BNL per integrare i servizi con BNP Paribas, 4,6 milioni per servizi postali e spese telefoniche, 7,5 milioni per marketing e 2,6 milioni per fare pubblicità) e a versare mega gettoni a consiglieri d’amministrazione seduti sulle poltrone di una miriade di controllate (come ACI Global, ACI Consult, ACI informatica, ACI Mondadori, ACI Sport, Gruppo Ventura, Radio Traffic, ecc.), la gran parte in perdita. La colpa – osservano i vertici dell’ACI – è tutta del crollo delle immatricolazioni che incide sui bilanci dell’ente. Un declino che parte da lontano, ma di cui gli alti dirigenti e i funzionari dell’ente pubblico non sembra si siano accorti continuando a percepire stipendi d’oro, oltre a incentivi e premi di produttività, nonostante il carrozzone continui a imbarcare acqua. Più della metà delle sezioni provinciali dell’ACI sono in perdita, per non parlare delle società controllate che fanno acqua da tutte le parti. Se a ciò si aggiunge che le buste paga dei dipendenti pubblici dell’ACI negli ultimi dieci anni sono cresciute (fra indennità, rimborsi, premi di produzione e buoni pasto da 15 euro al giorno) più di quelle del settore privato e della media del settore del pubblico impiego (un impiegato con qualifica medio-alta guadagna più di un insegnante), viene facile tirare le somme e domandarsi se il commissario per la “spending review” Enirco Bondi non se ne sia accorto.
   

L’ACI dovrebbe essere un circolo amatoriale, un club di appassionati di automobilismo

Per cui, non sarebbe l’ora, per un paese civile, di considerare l’ACI per quello che è veramente, cioè un circolo amatoriale di appassionati di automobilismo? Come avviene per la Federazione Motociclisti (FMI) ad esempio? Un’associazione che si occupi veramente (e non solo sulla carta) di educazione stradale, sicurezza, studi e ricerche, gare amatoriali e sportive a favore di quel milione di soci che costituiscono il Club? Lo dice anche Quattroruote che raccoglie spesso il parere di molti lettori e appassionati di auto. L’ACI, intesa come ente pubblico, è da abolire, rappresenta uno spreco di denaro, che lucra sull’ignoranza della gente, grazie alla complicità di potenti lobbies che la dirigono prosciugandone le risorse. La maggioranza delle persone, infatti, crede che tutte le pratiche riguardanti le automobili, dal rilascio delle patenti alla riscossione della tassa di possesso, siano gestite dall’ACI. Ma questo è sbagliato – ribadiscono dall’Aduc – e la falsa credenza distrae l’opinione pubblica da una serie d’inefficienze degli enti giuridicamente proposti alle suddette attività (prefetture, regioni, Ministero dei trasporti) che potrebbero semplificare gli adempimenti burocratici producendo risparmio di tempo per i contribuenti e facendo evitare spese inutili. Ma se si facesse questo, che fine farebbe il sottobosco di parassiti che gravita intorno al mondo dell’automobile?