E’ un buon momento per Bitcoin, che nelle ultime cinque sedute è salito di oltre l’8%, passando da meno di 110.000 a quasi 119.000 dollari. La quotazione della criptovaluta più popolare al mondo si sta avviando verso il record storico di 124.000 dollari segnato in agosto. Dall’inizio dell’anno il rialzo è stato superiore al 27%, mentre dai minimi di aprile sfiora il 60%. In primavera, subito dopo che l’amministrazione Trump annunciava la sfilza dei dazi sulle importazioni dal resto del mondo, la quotazione sprofondava a 75.000 dollari, praticamente cancellando i guadagni realizzati con la vittoria elettorale del tycoon.
Venti di guerra spingono Bitcoin
Adesso, Bitcoin torna col vento in poppa.
Peccato che questa buona notizia sarebbe la conseguenza di altre meno piacevoli. Il boom recente avrebbe a che fare con le tensioni geopolitiche. L’Occidente parla ormai apertamente di possibile guerra diretta con la Russia. Lo sconfinamento dei droni russi nello spazio aereo di alcuni stati della NATO rende l’ipotesi terribilmente concreta.
Paura per l’inflazione
Cosa c’entrano i venti di guerra con il vento in poppa per Bitcoin? Il fattore comune si chiama inflazione. E non solo. Durante le fasi belliche la stabilità dei prezzi al consumo va a farsi benedire. Per farsi un’idea, basta guardare alla Russia di questi anni. L’inflazione non è un incidente, bensì la risultanza di cause più o meno volute. La produzione di beni e servizi legati alla quotidianità viene sacrificata per beni pesanti da usare in fase di combattimento. Per dirla con un’immagine stereotipata, “meno burro e più cannoni”.
Tra l’altro, lo scenario estremo e che tutti speriamo non si verifichi mai consisterebbe nell’arruolamento di massa di braccia sottratte alle imprese.
In Russia questo fenomeno sta provocando una spirale salari-inflazione-salari, che rende più grave il risultato della carenza di beni in sé e per sé. Infine, in guerra la spesa militare aumenta e quasi sempre ciò avviene a debito. L’inflazione serve per gonfiare il Pil nominale e sgonfiare il peso dei debiti. Quanto accaduto durante la pandemia serva da esempio.
Rischio di dominanza fiscale
Ed ecco che Bitcoin viene in aiuto. La criptovaluta nacque con il preciso scopo di garantire una protezione del potere di acquisto alternativa agli asset finanziari tradizionali. Questi erano e sarebbero stati a maggior ragione percepiti come manipolati dalle banche centrali. Il dibattito di questi mesi negli Stati Uniti è illuminante in tal senso. Il governo reclama il taglio dei tassi di interesse e la Federal Reserve resiste più che può, anche se a settembre ha iniziato a cedere. L’allentamento monetario non è più giustificato dalle condizioni macroeconomiche, quanto dalle malmesse finanze statali. E’ la “dominanza fiscale“.
Bitcoin ha garantito solamente negli ultimi cinque anni un rendimento medio annuo sopra il 62%. Ha il pregio di non essere “emesso” da alcun organismo centralizzato. E la quantità offerta resta limitata nel tempo a 21 milioni di unità, di cui già per quasi il 95% in circolazione.
Una qualità tendenzialmente deflattiva, che rende questo asset particolarmente attraente in periodi di incertezza come quello che stiamo vivendo. E dopo che Washington ha legiferato in favore delle criptovalute, Deutsche Bank ha previsto che al 2030 Bitcoin potrà fare parte delle riserve centrali nel mondo.
Bitcoin alternativa all’oro fisico
Un’ultima considerazione: senza dubbio l’oro è e rimarrà ancora a lungo un asset maggiormente affidabile di Bitcoin, data la sua storia millenaria alle spalle. Ma per quanto si possa investire nell’oro cosiddetto “di carta”, come per esempio gli ETF, tradizionalmente è quello fisico a rilevare per le famiglie. Un’operazione di per sé che espone a rischi e costi. Tenere in casa lingotti rappresenta una minaccia alla propria sicurezza, mentre depositarli in banca richiede il pagamento di un canone periodico. Bitcoin sta rappresentando un’alternativa in tal senso. Al momento, una sua unità equivale a quasi 1 kg di oro fisico.
giuseppe.timpone@investireoggi.it


