Cosa succederà al mercato dei token digitali sotto il profilo impositivo in Italia? Da qui a poche settimane capiremo quante tasse dovremo pagare sulle crypto a partire dal 2026. La situazione è magmatica, a causa della veloce evoluzione normativa negli ultimi anni. Era il 27 ottobre del 2023 quando l’Agenzia delle Entrate metteva ordine con la circolare n.30/E. Le plusvalenze generate dalle “cripto-attività” vennero assimilate ai “redditi diversi” di natura finanziaria e, pertanto, sottoposte all’aliquota del 26%. Fu fissata una soglia di esenzione di 2.000 euro, per cui sotto di essa il contribuente non era tenuto a pagare alcunché. Già a 2.001 euro avrebbe pagato il 26% sull’intera plusvalenza.
Non si trattava, infatti, di franchigia.
Possibile stangata a gennaio
La normativa sarebbe cambiata l’anno successivo. In occasione della legge di Bilancio per il 2025 il governo previde inizialmente un’aliquota del 42%. Ci fu una rivolta degli operatori del settore e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, arrivò a più miti consigli. L’aliquota rimase al 26% per il 2025, ma l’esenzione dei primi 2.000 euro saltò. Tuttavia, fu fissata un’aliquota del 33% a partire dal 2026.
Questo è quanto sappiamo ad oggi riguardo alle tasse sulle crypto. In assenza di novità, dall’1 gennaio arriverebbe la stangata. In caso di rivendita di cripto-asset come Bitcoin, Ethereum, ecc., il possessore dovrebbe versare al fisco il 26% della plusvalenza registrata. Ma c’è una possibile novità. Il governo punterebbe a differenziare l’imposizione fiscale. L’aliquota resterebbe al 26% per le stablecoin con sottostante in euro. Per tutti gli altri asset salirebbe al 33%. Non lo stesso accadrebbe per investimenti tramite ETF, un dato che sconforta gli imprenditori che offrono servizi tramite piattaforme exchange.
Stablecoin in euro incentivate
Qual è la ratio di questa nuova idea che circola tra i banchi del governo? Incentivare gli investimenti in stablecoin ancorate all’euro, così da disincentivare la fuga dei capitali verso gli Stati Uniti. Ci sta ragionando la stessa Unione Europea, che resta scissa tra la chiusura totale e l’apertura selettiva. Le stablecoin sono token digitali garantiti da asset sicuri come dollari, oro, materie prime, ecc. Con il Genius Act, il governo americano le ha ufficialmente riconosciute, a patto che detengano gli asset che fungono da collaterale nel rapporto di 1:1.
Stablecoin ancorate all’euro implicherebbe la detenzione da parte degli emittenti di strumenti liquidi come i titoli di stato a breve termine. In un certo senso, abbassare le tasse su queste particolari crypto incentiverebbe l’acquisto non solo di euro, ma anche di titoli del debito in essi denominati. Cosa tutt’altro che semplice. Non c’è assoluta trasparenza circa gli strumenti detenuti come collaterale. Tra le altre cose, differenziare tra crypto appare discriminatorio per tutti gli altri investitori. Capta un retro-pensiero per cui sarebbero investimenti di serie b, tutt’al più tollerati.
Tasse su crypto, c’è l’affrancamento
C’è la possibilità, comunque vada, di sfuggire alla scure del fisco con l’affrancamento.
E’ un’alternativa offerta agli investitori con la scorsa legge di Bilancio. Prevede il pagamento del 18% sull’intero valore di mercato delle crypto all’1 gennaio 2025. Può ridurre la base imponibile per i casi in cui i token fossero stati acquistati a prezzi molto più bassi del loro attuale valore di mercato. Un’ipotesi da considerare a maggior ragione se l’aliquota salisse al 33%, magari ad eccezione delle stablecoin in euro.
giuseppe.timpone@investireoggi.it