Il recente caso del direttore del Tg1, Augusto Minzolini, rinviato a giudizio lo scorso dicembre dal gup del tribunale di Roma, Francesco Patrone,  per il reato di peculato, in seguito all’utilizzo personale  della carta di credito aziendale, ha spinto molti imprenditori e cittadini comuni a riflettere sulla questione.

Sono molte le aziende che, piuttosto che effettuare il rimborso spese di trasferte etc ex post, tramite verifica degli scontrini fiscali, autorizza i dipendenti ad utilizzare per tali spese una carta di credito aziendale.

Il caso di cronaca sopra citato ci invita a riflettere sul rischio e le conseguenze dell’abuso di tale diritto (che nella fattispecie specifica, essendo la Rai un pubblico servizio, configura reato di peculato).

 

IL CASO MINZOLINI: APPROFONDIMENTO GIURIDICO

Vediamo allora di analizzare da una prospettiva giuridica la vicenda Minzolini che porterà all’avvio del processo a carico del giornalista l’8 marzo 2012, di fronte ai giudici della VI sezione collegiale. La vicenda è iniziata a novembre del 2010: dal bilancio Rai è emerso infatti che le spese di trasferta sostenute dal direttore della testata informativa di Rai Uno erano nettamente e sproporzionatamente superiori a quelle dei suoi colleghi e perfino dell’allora direttore generale RAI Mauro Masi. Dall’estratto conto della carta di credito aziendale a lui attribuita, una American Express, è emersa in particolare una spesa annuale di circa 65.000 euro. Tra le transazioni risultavano hotel di lusso in rinomate località turistiche  (ad esempio Costiera Amalfitana e terme di Saturnia) e pranzi per più persone senza indicazione dei commensali. Allo stesso modo su 56 trasferte internazionali solo 11 risultavano avere una specificazione della ratio giustificatrice del viaggio. Sul piano privato il contenzioso è già risolto: Minzolini ha restituito, in tre rate, i 65.000 euro alla RAI. E’ chiaro però che restano sospesi gli effetti giuridici della vicenda posto che si è configurato il reato penale di peculato.

Minzolini parla di una consuetudine alla non trasparenza comune anche ai suoi predecessori accusando i dirigenti Rai di strumentalizzazione politica. La verità è che in una società civile nessuna infrazione può essere legittimata perché diffusa: non è vero a livello civile (vedi ad esempio il caso di numerose macchine tutte in divieto di sosta) e a maggior ragione non può esserlo in ambito penale.

Quello di Minzolini del resto non è l’unico caso di peculato per abuso della carta aziendale. Sempre nel 2010 fu condannato il vicepresidente della Regione Emilia Romagna Flavio Delbono (ex sindaco di Bologna). Nella capitale fu condannato per peculato l’ex portavoce finiano Salvatore Sottile che aveva fatto accompagnare Elisabetta Gregoraci a bordo di un auto blu.

 

CARTA DI CREDITO AZIENDALE: I VANTAGGI E I RISCHI PER LE IMPRESE

Per le aziende fornire ai dipendenti una carta di credito ha senza dubbio dei notevoli vantaggi dal punto di vista pratico. Solitamente le banche offrono condizioni particolarmente favorevoli per le carte di credito aziendali come l’addebito posticipato a uno o due mesi senza interessi aggiuntivi o commissioni, la possibilità di pagamenti rateali e assicurazioni gratuite o una via di assistenza preferenziale in caso di frode. Gli istituti di credito sono inoltre in grado di personalizzare le offerte a seconda della classe di lavoratori ai quali è riservata la carta, ad esempio artigiani o professionisti. Le condizioni variano anche in base alle dimensioni e all’estensione dell’attività dell’azienda. E’ chiaro che per l’azienda, in caso di dipendenti disonesti, il rischio è quello di sostenere più spese di quelle realmente dovute, salvo intraprendere eventualmente azioni di risarcimento. Ma se l’azienda ha natura pubblica la situazione diventa chiaramente più grave e subentra il reato di peculato.

 

REATO DI PECULATO: CHI PAGA?

Se leggiamo alla lettera l’articolo 314 del codice penale apprendiamo che

“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni”.

Quello che forse non è chiaro intuitivamente dal testo della legge è che i soldi di cui questi illustri personaggi abusano sono quelli dei contribuenti ovvero i nostri.