Si conclude, almeno temporaneamente una delle diverse pagine aperte in Italia con il risiko delle banche. Unicredit ha ritirato l’Offerta Pubblica di Scambio (OPS) su Banco BPM, malgrado una seconda sospensione di 30 giorni lavorativi concessa dalla CONSOB. Il CEO Andrea Orcel spiega che un mese in più non avrebbe fatto la differenza. Il quadro normativo entro cui si muovono “golden power”, sentenza del TAR e Unione Europea avrebbe richiesto un tempo ben maggiore. Sfuma così una delle operazioni sulla quale Piazza Gae Aulenti puntava per consolidare la propria posizione sul mercato domestico. Una sconfitta per il management, una vittoria per il governo che aveva avversato il blitz su Piazza Meda.
Titoli bancari corrono in borsa
Il risiko delle banche sta portando bene agli azionisti coinvolti. Da quando nel novembre scorso Unicredit annunciò l’OPS, le sue azioni sono cresciute in borsa del 58% e quelle di Banco BPM del 52%. Nello stesso periodo, l’indice FTSE MIB è salito del 21,5%. Anche gli altri protagonisti non se la stanno passando male. A gennaio Monte Paschi di Siena lanciava la sua OPS su Mediobanca, iniziata il 14 luglio scorso e che si concluderà l’8 settembre. Le azioni della banca toscana sono cresciute del 4%, mentre quelle di Piazzetta Cuccia del 23% da allora.
I numeri ci dicono che il risiko delle banche piace agli investitori. Nella vicenda Banco BPM non sembra affatto finita. Credit Agricole è salita a poco meno del 20% del capitale ed è stata autorizzata dalla Banca Centrale Europea a portarsi fino al 30%. Ci sarà un’altra offerta? E come reagirebbe il governo Meloni dinnanzi a un tentativo di scalata francese?
Maxi-dividendi e mini-prestiti
Gli azionisti festeggiano anche per l’aumento dei dividendi loro promessi dai CEO per ingraziarseli. Unicredit ha promesso di distribuire 4,9 miliardi nei prossimi tre anni. Gli utili restano altissimi, nonostante gli interessi nell’ultimo anno siano diminuiti.
Tutto sembra andare per il verso giusto, anche se non per tutti. Le banche giocano bene a risiko, ma non fanno più le banche. Ad affermarlo è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che non si è fatto prendere dall’entusiasmo dalle operazioni in corso. Il Tesoro nota che i prestiti all’economia reale languono.
I numeri gli danno ragione. A giugno si attestavano a 1.422 miliardi contro i quasi 1.832 miliardi di depositi. Rispetto a cinque anni prima, sono scesi dell’1% e i secondi sono saliti del 12%. E nel frattempo l’inflazione italiana è stata del 18,5%. Dunque, le banche prestano meno denaro di prima sia in valore nominale che reale. Ma a cosa servono le banche, se non a mediare sul mercato del credito? Ha senso tendere a fusioni domestiche o persino transnazionali, con l’effetto collaterale di creare un oligopolio sempre più sfacciato e senza benefici concreti per imprese e famiglie?
Risiko banche senza benefici apparenti per l’economia reale
Il risiko delle banche piace ai giornali perché frutta numerosi articoli, ma alla fine della fiera quali vantaggi porta e a chi? Da trenta anni a questa parte incoraggiamo fusioni e acquisizioni per rendere gli istituti sempre più grandi.
Il risultato è che le imprese ottengono sempre meno prestiti per finanziare gli investimenti e l’economia ne risente in peggio. Rispetto al passato si erogano più mutui, trattandosi di prestiti garantiti dagli immobili. Per il resto il piatto piange. Non è bello assistere a un governo che interviene a gamba tesa per bloccare o favorire questa o quella operazione. Ma i CEO abbiano l’umiltà di dirci cosa vogliano fare oltre a distribuire dividendi, chiudere filiali sui territori e comprarsi questa o quell’altra banca. La sensazione è che per chi si alza la mattina per produrre, nulla in meglio cambi.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

