Ormai da oltre 10 anni, la riforma delle pensioni è un argomento caldo, ma costantemente in stand-by. A fasi alterne, durante ogni anno, si parla di riforma, si elaborano ipotesi e proposte, si studiano e pubblicizzano nuove misure. Poi arriva la legge di Bilancio, contenitore di ogni novità previdenziale, che però si rivela spesso priva, o quasi, di cambiamenti se non marginali.
La storia si ripete, sempre uguale, anno dopo anno.
Le proposte emerse nel tempo sono state davvero numerose: Quota 41 per tutti, flessibilità a 62, 63 o 64 anni, scivoli per specifici lavori o categorie, e così via.
Tra le diverse misure quella di cui si parla con più concretezza è la pensione con due quote e con penalizzazione a termine.
Ecco di cosa si tratta.
Riforma delle pensioni 2026 o 2027: si può fare, ecco come
Nel tempo, quando si è parlato di riforma delle pensioni, è diventata sempre più concreta la necessità di prevedere penalizzazioni sull’assegno per eventuali nuove misure.
Parliamoci chiaro: ciò che ostacola qualsiasi riforma è il costo che essa comporterebbe per il sistema. Aumentare la spesa pubblica in modo consistente non è una strada percorribile. O, perlomeno, è molto difficile da attuare perché la coperta è corta e da altre parti si dovrebbe tagliare.
Così, si è passati da “Quota 41 per tutti e basta” a “Quota 41 per tutti ma con calcolo contributivo“. Oppure si è optato per una flessibilità sì, ma con tagli lineari sull’assegno per ogni anno di anticipo. Ancora, si è ipotizzato un sistema di pensioni flessibili con penalizzazioni per chi lascia prima e bonus per chi rimane al lavoro.
In sintesi, tutto punta verso misure che permettono l’uscita anticipata dal lavoro, ma sacrificando l’importo della pensione.
Questa tendenza sembra essere il comun denominatore di ogni proposta.
L’idea di Pasquale Tridico ai tempi della sua Presidenza si distingue perché parlava di penalizzazioni, ma limitate nel tempo.
In parole povere, chi voleva andare in pensione in anticipo poteva farlo, ricevendo un trattamento ridotto solo per il periodo di anticipo. Poi, una volta raggiunta l’età ordinaria, l’assegno veniva ricalcolato. Che sia questa la strada giusta, magari non esattamente come nella proposta originale, ma riveduta e adattata alle esigenze attuali? Sicuramente non è servita a placare tutte le rimostranze perché ci sono lavoratori che fanno mestieri faticosi, stanche e affaticati dall’età che avanza e frustrati dalle richieste di tagli per andare in pensione a un’età decente. Abbiamo raccolto diverse testimonianze in questo senso via email e nei commenti ai diversi articoli.
La pensione divisa in due quote e la penalizzazione dura solo durante l’anticipo
Il problema principale di qualsiasi riforma delle pensioni resta quello della spesa pubblica. I margini sono stretti.
Tuttavia, una penalizzazione a termine potrebbe rappresentare un compromesso meno duro di altri.
Prendiamo ad esempio la pensione anticipata contributiva che consente l’uscita a 64 anni. Oggi è riservata solo a chi ha iniziato a versare contributi dopo il 1° gennaio 1996.
Ma cosa accadrebbe se venisse estesa a tutti i lavoratori?
Questi ultimi, in molti casi, maturerebbero il diritto al calcolo misto (retributivo + contributivo). Perciò, ecco l’idea: liquidare inizialmente solo la quota contributiva. È quanto ipotizzato nella proposta pro quota già presentata dall’allora presidente dell’INPS.
In concreto, al lavoratore si concederebbe la possibilità di andare in pensione a 64 anni, ricevendo solo la parte contributiva della prestazione. Una volta raggiunti i 67 anni, l’assegno verrebbe ricalcolato, integrando anche la quota retributiva.
Una penalizzazione temporanea, dunque, valida solo durante il periodo di anticipo.
